Omelia Epifania del Signore

Epifania del Signore
Is 60, 1-6; Ef 3, 2-3.5-6; Mt 2, 1-12
Carissimi fratelli e sorelle il profeta Isaia ci fa questa forte esortazione: “Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce – la tua luce personale – la gloria del Signore brilla sopra di te”. Questo è un annuncio molto bello, è un annuncio fatto a tutti i popoli, a tutti i tempi, a tutte le nazioni e a tutte le lingue, e sono rappresentati dai Magi. Viene la nostra luce, la gloria del Signore brilla sopra di noi, quindi dobbiamo alzarci e rivestirci di luce: vuol dire che dobbiamo risorgere, che dobbiamo smettere di essere sedentari, e dobbiamo essere pronti e metterci in condizione di operare, rivestiti di luce. Ma quale luce? La luce che viene su di me è la luce di Cristo; devo rivestirmi del Signore Gesù Cristo, e, come dice san Paolo, Cristo deve avvolgermi in se stesso, fasciarmi, rivestirmi, cosicché “non sono più io che vivo ma Cristo vive in me”. Carissimi fratelli e sorelle, questa luce di Cristo è la chiave di tutto, è la luce pasquale di cui abbiamo ascoltato l’annuncio poco fa, è il centro di tutta la vita cristiana e quindi anche della liturgia che è il cuore della vita cristiana. La luce di Cristo è il centro di tutto, scoprire il manifestarsi di Cristo per noi oggi significa scoprirne la pasqua, il suo fulgore di risorto, vivo e presente nella storia, nella Chiesa, nelle nostre comunità, nella mia vita personale. Devo scoprire Cristo, diversamente tutto è evanescente. Sono sempre rimasto molto colpito dal fatto che alcuni dei ragazzini della mia città giocassero a fare il prete, e anche quando lo sentivo raccontare restavo meravigliato, perché a me non è mai interessato l’aspetto esteriore del sacerdozio; né io, né i miei confratelli, né te Stefano, siamo chiamati a giocare a fare qualche cosa. Questa liturgia non è un balletto estetico; se così fosse saremmo proprio figure desolanti. Siamo chiamati ad incontrare Cristo vivo e risorto, e a metterci in cerca di lui come i Magi, perché il Signore si fa trovare; ma non possiamo pretendere che faccia tutto lui, come se noi fossimo dei pilastri; è lui il primo che ci cerca, è lui che suscita in noi il desiderio di cercarlo, ma siamo noi che dobbiamo metterci in moto, partire anche da distante per cercarlo. Quante persone partono da distante per cercare Gesù. Quante ne ho incontrate nella mia vita, e vi devo dire che erano tutte belle figure di persone; sono quelle persone che, quando trovano Gesù, mostrano una disponibilità e una prontezza encomiabile. Dobbiamo cercare il Signore; i Magi seguono una stella, a pensarci bene fa un po’ sorridere. Credo che, oggi, con tutta la nostra iperscienza, li potremmo compatire e diremmo: “Che cosa vuoi, sono bravi, ma seguire delle stelle …”. Hanno messo a servizio di questa ricerca tutto il loro sapere, non erano degli sprovveduti, però hanno avuto il coraggio di partire da paesi lontani, per arrivare a trovare il Signore Gesù. La loro ricerca non parte già bella sicura; a volte noi siamo un po’ schizzinosi, e quando una ricerca non parte bene, tutta perfetta, ci sembra che non possa funzionare. I Magi sono partiti e chiedono: “Dov’è colui che è nato, il re dei giudei?”. Non hanno chiara la concezione di chi esattamente sarà Gesù; cercano “il re dei giudei”, e dove vanno? A Gerusalemme, a corte. Dove si cerca un re se non a corte? È la cosa più naturale, ma con Dio le cose non sono poi così naturali, hanno un’altra logica. I Magi, strada facendo, capiscono come funzionano le cose, e si trovano in un altro posto, non certo in una reggia, in un posto molto più umile. Questo cammino chiede anche a noi un impegno e un’attenzione. I Magi quando arrivano a Gerusalemme interrogano il Re Erode; questi fa fare ricerche e gli scribi, che sanno perfettamente tutto, rispondono: “A Betlemme di Giudea perché così è scritto per mezzo del profeta”: “E tu Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”. Gli scribi lo sanno ma non si muovono. Questa è una delle cose che mi ha sempre terrorizzato nel mio ministero: ho studiato tanto, mi sono preparato: sono capace a muovermi, a lasciare le mie certezze, a mettermi in gioco? Sapere è facile ed anche comodo quando non ti devi muovere, ma mettersi in moto di conseguenza e giocarsi non è altrettanto comodo. Caro Stefano, sei in un cammino che ti chiede questo: puoi essere un membro di un sistema, e la Chiesa Cattolica è anche un sistema, ma guai a te, guai a noi se ci sentiamo membri solo di un sistema o di un apparato. Il Papa, a noi Vescovi, l’ha detto con forza quando abbiamo fatto l’assemblea della Cei il maggio scorso: “Dobbiamo avere la freschezza di metterci in gioco ed essere noi i primi a metterci in gioco e non aspettare che ci raccontino”. E quando i Magi ripartono, vedono di nuovo la stella che li precede, “provano una gioia grandissima”: il farsi e il rivelarsi di Dio nel cammino è quello che ci dà la gioia e la forza del camminare. Ecco cari fratelli e sorelle, chiedo al Signore la grazia che tutti noi sappiamo metterci in gioco come i Magi. Cari fedeli non accontentatevi di un cristianesimo ridotto ad una messa domenicale; per favore, mettetevi in gioco, Gesù è vero, vivo, c’è; non possiamo essere inermi e immobili di fronte a lui, diversamente trasmettiamo un messaggio di una sostanziale indifferenza, che non è quella che si merita nostro Signore Gesù. Caro Stefano, il ministero verso il quale ti avvii richiede questa duttilità e questa freschezza, un rinnovarsi quotidiano. Il tuo avvicinarti all’altare attraverso il ministero di accolito ti chiede non di compiere dei gesti nell’ambito della liturgia, ma di servire il Signore nel profondo del cuore: il tuo servirlo all’altare sia il segno del tuo servirlo con la vita, deve essere un travasarsi di una cosa nell’altra, reciproco; è dalla liturgia che la tua vita diventa servizio, e la tua vita di servizio trova la sua pienezza nella vita liturgica, così ci insegna il Concilio Vaticano II. L’augurio che faccio a te è lo stesso che faccio a tutti: possiate vivere sul serio questa bella chiamata, una chiamata che dà una grande gioia: fare quello che vuole Gesù. Sia chi è sposato, sia chi è consacrato, non può rifarsi al solo giorno dell’inizio della storia, ma deve sempre chiedersi: “Adesso sto veramente facendo quello che vuole Gesù? Oggi Gesù mi direbbe: “Hai fatto bene”, o “Ama di più e fai questa cosa”. Auguro a tutti noi di compiere questo cammino, e che la nostra Chiesa di Alessandria sia una Chiesa viva, in movimento, una Chiesa che cerca il Signore, una Chiesa che ha il coraggio di mettersi in discussione, una Chiesa che desidera incontrare Gesù e desidera rivestirsi di Lui. La Vergine Maria, nostra Signora della Salve, colei che ci dona il suo Figlio, colei che accoglie la parola e la medita nel suo cuore, interceda per tutti noi.
Sia lodato Gesù Cristo.