Omelia Veglia Pasquale

Domenica di Pasqua
Veglia pasquale nella notte santa
Gn 1,1 – 2,2; Gn 22, 1-8; Es 14, 15 – 15,1; Is 54, 5-14; Is 55, 1-11; Bar 3,9-15.32; Ez 36, 16-28; Rm 6, 3-11; Mt 28, 1-10
Carissimi fratelli e sorelle, è pasqua, alleluia!
Auguro a tutti voi di vivere questa pasqua nella gioia, non di viverla solo questa notte, ma di vivere il passaggio del Signore, un passaggio che ci fa mettere in marcia, inizio di un cammino. Sempre la pasqua è stata un inizio di cammino: così è stato per Mosé, mangiandola con i saldali ai piedi, i fianchi cinti, il bastone in mano pronto per partire; così è stato per Gesù, l’inizio del cammino della Chiesa. La gioia della pasqua contraddistingue la vita cristiana: ce lo ha detto mille volte Benedetto XVI. Credo che la parola più usata da questo Papa fosse “gioia”; non c’era omelia nella quale non parlasse della “gioia”, non mancava mai, sempre ci richiamava all’evento della gioia di Cristo che illumina tutta la nostra vita. Papa Francesco ha ripreso con forza questo tema, e continua a ricordarci che la vita cristiana non è una vita di persone tristi, ma di persone gioiose; la vita cristiana non è la vita di persone stanche che si rifanno ad una serie di precetti morali nei quali un può si ritrovano e un po’ sono costretti a ritrovarsi. Non è questo il cristianesimo, la vita cristiana è pervasa dalla gioia di Cristo risorto, del Signore Gesù vivo. Una gioia che però è anche molto realista, non è una gioia tutta bella e liscia: Dio quando crea le cose dice che “era buona”, e anche alla fine, quando crea l’uomo, dice che “era una cosa buona”, diversamente da quello che solitamente pensiamo. Ma ci sono i problemi: pensiamo ad Abramo, che incubo; non era un problema, era un incubo: a settantacinque anni il Signore gli si rivela e gli dice: “Abramo esci dalla tua terra e va’ nel paese che io ti indicherò; avrai una generazione numerosa come le stelle del cielo”; lo dice ad Abramo che ha settantacinque anni, ha una moglie anziana e sterile, e non hanno mai avuto figli; a settantacinque anni Dio decide che Abramo avrà una discendenza numerosa come le stelle del cielo. Sembra una presa in giro, soprattutto tenendo presente che Dio ha rinnovato questa promessa per venticinque anni senza mai realizzarla; veramente sa di presa in giro. Abramo sapeva che era Dio che gli parlava, per questo era incrollabile nella fede; se non fosse stato veramente Dio tutto questo non poteva sembrare altro che una presa in giro. Alla fine, dopo venticinque anni, gli nasce il figlio; e quando questo figlio comincia ad essere grandicello, ecco l’episodio del sacrificio: un incubo. “Per venticinque anni ho vissuto con questo incubo quando mi dicevi di questa discendenza, adesso mi dici di sacrificarti il mio unico figlio?”. “Abramo è stato il padre della fede”, come dice san Paolo; Abramo è colui che ci ricorda che la promessa di Dio non è mai vana, che anche quando noi affrontiamo una fatica nella nostra vita, capita di dover affrontare fatiche dolori e sofferenze, la promessa di Dio non è mai vana; la parola finale non è la nostra sofferenza, non è la nostra fatica. Dobbiamo affrontare le nostre fatiche, non possiamo far finta che non lo siano, ma con una serenità di fondo interiore, la serenità che il Signore porterà a compimento l’opera che ha iniziato. L’altro ostacolo, il mar Rosso, l’ha attraversato. Arrivano inseguiti dall’esercito egiziano; dopo il loro passaggio l’esercito egiziano viene distrutto. Dio quando parla con Mosè ha il fare tranquillo di una persona che nemmeno intravede i problemi. “Adesso tu dici al popolo di prepararsi per camminare, c’è il mare davanti, tu nel frattempo vai davanti al mare, picchi con il bastone e questo si separerà”. Non vorrei essere al posto di Mosè, ma invece ci sono perché il bastone ce l’ho già in mano e vi assicuro che non vedo nessuna differenza. Carissimi fratelli e sorelle, quanta fatica ho fatto quest’anno, quante sofferenze! Però vi devo dire che sono proprio gioioso e sereno nel fatto che il Signore sta portando avanti il suo disegno: bisognerà che attraversiamo questo mar Rosso. Vogliamo essere cristiani senza passare il mar Rosso? Non esiste. Dobbiamo ricordarci che davanti alle grandi prove della vita, nei momenti duri e bui, il Signore non ci lascia mai, e ha già tracciato una strada che non è quella che pensiamo e vediamo. Noi vediamo soltanto del mare, e quindi non lo prendiamo nemmeno in considerazione come strada da percorrere. Ovvio! Dio invece ha una fantasia migliore della nostra. Dio però ci dà delle garanzie: è la terza lettura; è Dio che costruisce la sua Chiesa e la adorna; è Dio che vi sta curando, si sta prendendo cura di ciascuno di voi, conosce tutti i capelli del vostro capo, l’ha detto proprio Gesù. L’altra garanzia, ce l’ha raccontata il profeta Isaia nella quarta lettura: anche se per noi è un po’ problematico e non capiamo, Dio ci ricorda che “le mie vie non sono le vostre vie, i miei pensieri non sono i vostri pensieri”, e “come la pioggia e la neve cadono dal cielo e non tornano senza aver fecondato la terra, fatta germogliare, fatta portare frutto”. Questo succede nelle nostre vite: Dio ci dona la sua parola e questa non tornerà indietro senza effetto. Abbiamo ascoltato a lungo la sua parola questa sera, sette letture, l’epistola, il vangelo: che bello! Me la sono proprio goduta, perché questa è la parola della nostra vita; non è un racconto vuoto, è la parola che ci dirà: “Guarda, succederà a te così; è così per tutti; sei salvo, sei vivo, sei risorto, non c’è sofferenza, non c’è dolore, non c’è problema nella tua vita che non venga superato dal Signore tuo Dio, il Risorto, il Vivente”. Nella nostra vita dobbiamo imparare a tener conto della situazione: Baruc, sesta lettura, ci dice: “Guarda, considera come sei messo, hai delle cose che non vanno? Non sarà forse perché hai abbandonato il Signore? Considera la tua vita: le stelle brillano e quando io le chiamo rispondono: Eccoci, e sono il segno della bellezza di Dio”. Non allontanarti dal Signore, perché a quel punto rendi vana l’azione di Dio, questo è l’unico problema che abbiamo nella nostra vita: siamo noi che scappiamo. Dio ci insegue e noi scappiamo sembra quel film “Prova a prendermi” (Catch Me if You Can), prova a prendermi Signore. Facciamo così tutta la vita, noi scappiamo e lui ci insegue, implacabilmente ci insegue, non ci molla mai e la promessa di Dio è forte. Il nostro scappare ci fa diventare brutti, ci porta addirittura nel deserto, ci fa sentire un popolo abbandonato da Dio. Se guardo la Chiesa, e non solo la nostra di Alessandria, e leggo il vangelo, e mi capita di leggerlo abbastanza sovente, che dramma! Ma come siamo brutti, ma è possibile che il Signore possa fare qualcosa di buono tra noi che siamo scappati così bene? E la risposta: “Sì”, il Signore dice: “Vi farò santi, davanti agli occhi di quelli che dicono: Dov’è Dio?”. In effetti tante volte, benevolmente o meno, ci dicono: “Guarda che gente, ma dov’è Dio? Siete ridicoli”. Certo un po’ lo siamo, ma Dio ci dice: “Io vi farà santi e manifesterò la mia grandezza e la santità del mio nome proprio perché gli altri vedranno che voi diventerete dei santi”. Pensate fratelli e sorelle, gli altri capiranno chi è Dio vedendo quanto noi diventeremo santi. È una promessa veramente straordinaria quella di Dio. Qual è la chiave? Lettera ai Romani: il battesimo; tutta questa storia viene riassunta in un sacramento. Con il battesimo passiamo attraverso l’acqua, l’abbiamo ripetuto tante volte, e, nelle orazioni delle letture, ci sono stati tanti richiama al battesimo. È il lavacro che ci rende figli di Dio, che ci rende appartenenti a questa storia vincente, una storia che passa attraverso la fatica ma la vince, passa attraverso la morte ma risorge. È il battesimo che ci salva; il battesimo inizia un’azione di Dio nel nostro cuore e nella nostra vita, un’azione che ci trasformerà anche attraverso l’eucaristia e la riconciliazione, la preghiera e la vita comune. Ecco il risultato della pasqua: Gesù risorto è vivo, e a noi non rimane che costatare che quello che è successo a Gesù succederà anche a noi e che dobbiamo annunciare che Gesù è vivo, che i nostri problemi sono finiti perché Dio li risolverà. Carissimi fratelli e sorelle, questo è l’annunzio gioioso della pasqua: Gesù è vivo e prende in mano le redini della mia, della tua e di tutte le nostre vite. Diciamo questa notte: “Signore credo in te; te lo prometto, anche nelle difficoltà, anche nei problemi, anche nelle fatiche, credo in te Signore, mi aggrappo alla tua parola perché non mancherà di portar frutto. La Vergine Maria, nostra Signora della Salve, che tra poco festeggeremo con grande cuore, con amore e con devozione, interceda per la nostra Chiesa di Alessandria, perché possa camminare veramente nella santità e gustare la bellezza e la gioia.
Sia lodato Gesù Cristo.