Omelia Corpus Domini e Ordinazione sacerdotale Bagnus e Noè

Corpus Domini
Ordinazione sacerdotale di don Giovanni Bagnus e don Daniele Giuseppe Noè
Es 24, 3-8; Eb 9, 11-15; Mc 14, 12-16,22-26
Carissimi fratelli e sorelle
In occasione della solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo celebriamo questa duplice ordinazione presbiterale. È un momento bello e importante per la nostra comunità diocesana e per la nostra Chiesa alessandrina. Perché è così importante? Perché il pastore è fondamentale nella Chiesa, e perché è colui che, in qualche modo, sacramentalmente ripresenta nella comunità Cristo e ne ripropone la presenza. Un conto è il rappresentare Cristo mentre si celebra la messa e diciamo quelle parole “in persona Christi”; ma quando l’intera vita deve ripresentare Cristo mette paura. È tutto un’atra cosa. Ora il ministero sacerdotale è stato istituito dal Signore nel contesto dell’ultima cena, cioè nel contesto dell’istituzione dell’eucaristia. Questo vuol dire che quando Gesù ha detto agli apostoli: “Fate questo in memoria di me” ha delineato la loro missione. Attenzione: se pensassimo che il ministro del Signore sia solo colui che nel contesto della liturgia dice determinate parole e ha il potere, con quelle stesse parole, di trasformare il pane e il vino in corpo anima, sangue, anima e divinità di Nostro Signore Gesù Cristo, saremmo ancora molto distanti dalla verità. Questo è vero; ma se fosse solo questo sarebbe troppo semplice. Se uno si prestasse per fare un certo rito sapendo che in questo rito avviene qualche cosa per cui viene presente il Signore, lo potrebbe fare; e ora che non è più in latino non occorrerebbe neppure sapere quella lingua per dire messa. Ma questo sarebbe troppo riduttivo. Abbiamo ascoltato nella liturgia della parola questi insegnamenti. Nell’Antico Testamento, Mosè scende dal monte con le tavole della legge, riferisce al popolo le parole che ha detto il Signore e tutto il popolo risponde ad una sola voce: “Tutti i comandamenti che il Signore che il Signore ha dato, noi li eseguiremo!”. Il Signore ha parlato, gli ha dettato una lista di comandamenti, e il popolo ha risposto che li eseguirà. Questo è il modo per suggellare l’alleanza. Nel Vangelo inoltre abbiamo ascoltato Gesù che manda due dei suoi discepoli dicendo: “Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo. Là dove entrerà, dite al padrone di casa: Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. Mi piacerebbe vedere chi ha il coraggio di fare una simile cosa! Un conto sono le parole dette al passato: “Noi le eseguiremo”; un conto è trovarsi di fronte ad uno che dice: “Vai in città e incontrerai un uomo con una brocca, seguilo. E quando entrerà in una casa, rivolgiti al padrone riferendogli ciò che il maestro ha detto”. Questo è un modo di fare sconcertante. Carissimi, con l’ordinazione presbiterale voi diventate profeti dell’ignoto, nel senso che diventate profeti di Dio; è un titolo particolare, ma Dio è il Dio di Gesù Cristo che vi spinge verso qualcosa di veramente ignoto. Non ho la minima idea di come sarà il vostro ministero, nemmeno io che sono vescovo e che vi dirò di fare questo e quest’altro non conosco il vostro domani, perché ho sperimentato sulla mia pelle, guardando la vita e la storia di tanti confratelli, come il mistero di Dio sia assolutamente imprevedibile. Noi siamo qua per un puro atto di fede ad affidarci a colui che sappiamo essere il nostro Signore, colui che ci ama e ha dato la sua vita per noi. Ma è un ministero tutto al futuro, dove lo stile di Gesù è questo: non capisci nulla, non riesci a guardare più in là dei tuoi piedi; entri in città, devi seguire uno con un brocca. Che mistero il ministero presbiterale! È in questo contesto che vengono istituiti l’eucaristia e il sacerdozio. Entrano in città, preparano la pasqua e mentre celebrano la Pasqua, Gesù prima canta il rito della pasqua ebraica, poi con uno dei pani azzimi in mano per il rituale ebraico dice: “Prendete, questo è il mio corpo”. Il rito della pasqua ebraica è diviso in due parti e nel mezzo c’è una cena normale; con un pezzo rituale e la purificazione si inizia mangiare e a bere, segue la cena di festa, e poi la conclusione dove di nuovo si mangia e si beve qualcosa di rituale. Nella seconda parte, con il calice del vino di nuovo Gesù dice: “Questo è il mio sangue dell’alleanza che è versato per molti”. Stiamo parlando della pasqua e quando dice: “Questo è il mio corpo” significa che sta prendendo il posto dell’agnello; e dicendo: “Il sangue dell’alleanza” allude a quel sangue che, a Pasqua, era stato usato per segnare l’architrave e gli stipiti delle porte delle case degli ebrei. L’eucaristia non è semplicemente un reperto liturgico nel quale si fanno alcune cose e, magicamente, Dio interviene; certo è un luogo dell’azione di Dio e dove interviene veramente, ma la liturgia è il luogo di un dono: il dono di Cristo che è sempre accompagnato dal nostro dono. Non potete ripetere quelle parole pensando che siano solo di Cristo. Siamo sempre indegni nel dire: “Questo è il mio corpo che è consegnato per voi, che è offerto in sacrificio per voi”; ma non potremo dirlo pensando che sia solo l’azione di Gesù, come non toccasse a me, celebrante, dirlo con la povertà della mia capacità di amare e di donarmi. Guai a me se non facessi in questo modo. Tutto quello che ho, devo darlo, come sono capace; ma l’eucaristia è uno stile di vita per cui io consegno la mia vita ai fratelli. Non gestisco dei fratelli, non li comando, non li governo, ma mi consegno a loro, ed è nella mia consegna che li guido. Anche Gesù ha fatto questo: non è venuto a darci le istruzioni leggendole da un pulpito e aspettando la nostra adesione. Ci ha detto delle verità, ha operato e si è consegnato; è in questo modo che ci ha redenti: consegnandosi. Questa consegna ci fa perdere il dominio della nostra vita, ed è la cosa che un essere umano teme più di tutto. Quanta paura abbiamo che ci sfugga la vita con questa maledetta mania del controllo! Quando consegniamo la nostra vita è vero che ci trovi con il fiato sospeso, ci si sente venir meno, si ha un senso di vertigine, e si ha paura. Ma consegniamo le nostre sorti e quelle delle persone che ci sono affidate nelle mani di Dio, che sono molto più sicure delle nostre mani. Ed è per questo che consegnandoci nelle sue mani, si riesce ad avere una discendenza come Cristo. La spiritualità eucaristica è un consegnarsi facendo di ogni nostra morte un rendimento di grazie; è qualcosa che adesso non possiamo capire, a volte, ci si sente un po’ stupidi a rendere grazie a Dio dicendo: “Signore ti rendiamo grazie anche se non capiamo per che cosa; vediamo sfacelo e morte, non intravvediamo una vittoria, il trionfo della tua parola, del tuo agire o della tua grazia; ma ti rendiamo grazie perché sappiamo che la tua parola è infallibile e non passerà senza aver portato frutto”. Carissimi Giovanni e Daniele, voglio consegnarvi tutto questo nel giorno in cui iniziate il vostro splendido ministero; alcune volte vi metterà in ginocchio, prostrati a terra come farete ora, ma sarà bellissimo perché proprio quando vi prostrerete davanti a Dio, scoprirete che questo Dio guida la vostra vita. Non siete qui per fare uno spettacolo personalistico, ma per realizzare un disegno infinitamente più grande che travalica secoli e di cui siete testimoni e strumenti. Vi lascio con questa riflessione che Papa Francesco ha fatto la settimana scorsa con noi vescovi a porte chiuse. Parlando della necessità dei mezzi e ricordiamoci che i mezzi siamo noi, ci diceva: “È vero che i mezzi servono, d’altronde il buon samaritano se non avesse avuto il vino per disinfettare le ferite e l’olio per lenire il dolore, il giumento per caricare la persona che era stata lasciata ai lati della strada, i due soldi da lasciare all’oste per prendersi cura della persona convalescente, certamente non avrebbe potuto fare nulla, tuttavia madre Teresa, nelle sue due ore di adorazione eucaristica quotidiana, sapeva bene a quale porta bussare per chiedere tutte queste cose. I suoi poveri non rimanevano senza l’aiuto. Adesso chiedo a voi vescovi: quante ore passate ogni giorno davanti al Signore a pregare? Rispondete davanti al tabernacolo”. Non ho avuto bisogno di pormi davanti al tabernacolo, ma quelle parole mi ha trapassato il cuore come un dardo. Ricordiamoci il primato della preghiera, non come misticismo sdolcinato di uno che vuol farsi vedere; ma come vera relazione con Cristo al quale presentiamo le necessità del popolo di Dio; e questo sta all’origine del nostro ministero. Ora siete diaconi e la differenza tra diacono che siete ora e presbitero che diventerete fra pochi minuti sta proprio in relazione. Pietro e gli Apostoli, all’inizio della Chiesa, hanno deciso di scegliere degli uomini perché diventassero diaconi affinché essi potessero dedicarsi alla preghiera e al ministero della parola. La Chiesa è iniziata in questo modo. Non stiamo cercando cose misticoidi o pietismi fuori epoca, ma la vera relazione con Cristo, l’unico che può salvare il mondo, l’unico che può salvare il popolo che ci è affidato. Con questa fiducia e con questo gesto bellissimo della prostrazione affidiamo le vostre vite al Signore, e preghiamo tutti i santi perché intercedano per voi. Ne avrete bisogno perché la compagnia dei nostri fratelli che sono nel cielo e di quelli che sono sulla terra, i vostri confratelli presbiteri in primis, sarà la vostra forza. E vi affidiamo con cuore alla Madonna della Salve, nostra amatissima patrona. A lei, come vescovo di questa Chiesa, affido le vostre vite, perché possiate essere di Gesù. Amen.
Sia lodato Gesù Cristo.