Pontificale 1° giorno dell’Anno

Pontificale
Num 6, 22-27; Gal 4, 4-7; Lc 2, 16-21
Carissimi fratelli e sorelle siamo insieme a rendere grazie all’inizio del nuovo anno; infatti l’eucaristia vuol dire ringraziamento, rendere grazie perché si apre un anno di grazia. Vi devo dire che, ovviamente, mi è passato per la mente questa domanda: “Chissà che avrà in mente per me il Signore quest’anno?”. Fa sempre un po’ paura perché il Signore è imprevedibile; ma so che mi guiderà su una via di grazia, su una via di pace; che mi farà vivere insieme a Lui tutto ciò che capiterà, le cose che mi piacciono e anche le cose che non mi piacciono. E questo è già un punto di partenza importante ed interessante. Celebriamo la giornata per la pace e siamo chiamati a riflettere su un concetto di libertà: “Non più schiavi ma figli”, di cui si parla nella seconda lettura, nella Lettera ai Galati. Questa figliolanza è frutto di un essere riscattati dalla schiavitù; un concetto interessante: se in campo sociale e civile noi diciamo che non ci deve essere schiavitù, in campo spirituale accade che noi siamo già schiavi e veniamo riscattati da Cristo. Questa è la ragione per cui esiste la schiavitù in campo spirituale, perché spiritualmente non siamo liberi, non siamo veramente figli in pienezza, ma abbiamo una schiavitù che ci portiamo dentro e dalla quale, nel corso della vita, dobbiamo imparare a lasciarci liberare sempre più da Gesù che ci riscatta. Riflettiamo su questo. Perché c’è la schiavitù? Vi devo dire che nei miei cinque anni nel centro storico di Genova convivevo con tante schiavitù. Evidentissima quella economica: tutte le settimane avevamo a che fare con la mensa dei poveri nel centro di Pastorale giovanile, il cui nucleo centrale erano quelle persone che vivevano per strada e che non avevano nemmeno i requisiti minimi per stare nel più scalcinato ostello o luogo di accoglienza della città. Persone con un cuore bellissimo, ma in uno stato di degrado anche interiore psicologico che deturpava la loro bellezza; e quindi era una sofferenza vederli e sentirsi anche un po’ impotenti. Molti li ho visti morire. Mi sono interrogato molto su questa schiavitù, su questo stato in cui delle persone si riducono senza volerlo, non erano certamente scelte di vita desiderate. Nella letteratura ci sono quelli che si sono messi a vivere da clochard; a Genova c’è un padiglione dedicato ad uno che aveva fatto un grande lascito e che viveva da clochard, era un principe. Ma di solito non è così. L’altra schiavitù che mi colpiva era quella della tratta delle donne, le prostitute. Nel centro storico pullulavano, erano ormai una parte del paesaggio che si affronta girando per il centro storico. E mi chiedevo: perché non si riesce a fermare questa tratta di donne che sono fatte venire in Italia con il miraggio di un lavoro, poi gli viene ritirato il passaporto, messe su una strada e sfruttate per la prostituzione? Queste sono schiavitù terribili: la tratta degli uomini non è finita anche se sui libri di scuola se ne parla come fosse una cosa di una volta; purtroppo, in forme diverse, aggiornate rispetto ai tempi passati, esiste ancora oggi. Che cosa possiamo fare? Certo sensibilizzare chi ha il compito di amministrare la cosa pubblica nella misura delle sue competenze per evitare tutto questo; poi c’è anche un lavoro che possiamo fare, un lavoro più capillare. Perché esistono queste schiavitù? Perché c’è qualcuno che guarda gli altri come strumenti, non come fini. Guardare ad un uomo come mezzo è sempre un peccato, guai guardare ad un essere umano come ad un mezzo per ottenere qualche cosa per sé. E questo sguardo ha una sua gradualità: in tante misure posso guardare l’altro come un mezzo per un mio soddisfacimento; dall’intimo della affettività e della sessualità al mondo del commercio, degli affari, dell’industria, alle relazioni con i nostri vicini. Sono tante le circostanze nelle quali io posso guardare gli altri come mezzi e non come fini. E questa educazione a guardare gli altri come un fine e non come uno strumento, è importante e dobbiamo diffonderla; questi valori mi consentono di ragionare in modo tale che posso dire che l’altro non va mai visto come strumento. Se tolgo l’insieme dei valori è impossibile fare un ragionamento che mi porti a dire che gli altri vanno sempre visti come fini, mai come mezzi. Ecco cari fratelli e sorelle, credo che abbiamo molto su cui riflettere da queste cose e vorrei concludere con una riflessione decisamente cristiana. La nostra sensibilità all’abolizione di ogni genere di schiavitù cresce nella misura in cui siamo capaci di liberarci dalle nostre schiavitù personali. Cosa non scontata. Cari fratelli e sorelle, facciamo attenzione alle nostre piccole e grandi schiavitù. Controlliamole, cerchiamo di vincerle perché è essenziale per concepire un mondo libero. La nostra libertà personale, veramente vissuta in pieno e non sulla carta, è condizione essenziale per guardare con occhi liberi un mondo libero. Per questo ci rivolgiamo al Signore e chiediamo a Lui l’aiuto, perché Lui è il grande liberatore; Redentore vuol dire colui che riscatta dalla schiavitù: chiediamo a lui, il Redentore in questa liturgia di liberarci dalle schiavitù del nostro peccato. La Vergine Maria ci accompagni in questo cammino di liberazione perché possiamo essere veramente felici secondo il desiderio del Signore.
Sia lodato Gesù Cristo.