L’amore dell’Agnello

Home / Monsignor Guido Gallese / L’amore dell’Agnello

L’amore dell’Agnello

“L’amore dell’Agnello” è la nuova Lettera pastorale di monsignor Guido Gallese, vescovo di Alessandria, indirizzata “al clero, ai consacrati, ai fedeli laici e a tutti i fratelli di buona volontà“. Disponibili per il download:

Scarica “L’amore dell’Agnello”
Scarica lo schema del libro dell’Apocalisse
Scarica l’appendice
Scarica il libro dell’Apocalisse

 

 

monsignor Guido Gallese

L’amore dell’Agnello

L’amore dell’Agnello è la grande novità del mondo: esso è l’unico in grado di dare un senso alla vita dell’uomo e alla sua storia. È un amore il cui frutto materiale è invisibile nella storia, ma quello spirituale brilla nel cuore delle comunità cristiane che vengono riconosciute in base ad esso.
Questo amore è l’oggetto primo della rivelazione (in greco apokàlypsis) del Libro dell’Apocalisse di San Giovanni Apostolo: quando infatti l’Agnello comincia ad aprire i sigilli per rivelare il senso della storia, lo fa a partire da sé stesso, rappresentandosi attraverso il primo cavaliere dell’Apocalisse.
È il suo amore che dà senso a tutto ciò che accade nel mondo e va contro una lettura pessimistica o nichilistica degli eventi negativi della storia: tutto viene fecondato dal bene, il cui frutto sboccerà pienamente alla fine dei tempi, anche nell’ordine storico. Comprendere questo amore e provare a viverlo è l’essenza della vita cristiana.

Per dovere di completezza riprendo a grandi linee il senso generale dell’Apocalisse di cui abbiamo parlato l’anno scorso. L’Apocalisse è un libro profetico, l’unico del Nuovo Testamento, che ci presenta in modo molto concreto e ordinato la vita della Chiesa da dopo l’immolazione di Cristo fino alla preparazione delle nozze dell’Agnello. Questo testo profetico si esprime con uno stile letterario che prende il nome dal testo stesso: apocalittico. Si serve di immagini, visioni, segni, numeri, liturgie. È un linguaggio in prima battuta molto criptico, ma che diventa estremamente preciso nella misura in cui vi ci si addentra (su alcune questioni in realtà è addirittura il più chiaro del Nuovo Testamento).
Apocalisse significa “rivelazione” e fin dal primo versetto viene dichiarato che l’intento del libro è di “mostrare ai suoi servi le cose che devono accadere tra breve” (Ap 1,1). “Mostrare” non è comunicare, né raccontare: è una questione di immagini, di visioni.
Questo testo profetico si articola secondo le due dimensioni della profezia: quella più quotidiana, che riguarda il presente, che consiste nel saper leggere l’oggi alla luce della Parola di Dio, e quella più intrigante, che riguarda il futuro, che consiste nel prevedere quello che succederà. In realtà ho descritto questa seconda dimensione in modo prettamente umano, perché per Dio non è così. Egli non si preoccupa che noi sappiamo prima le cose, ma che al momento in cui accadono le possiamo vivere compiendo le scelte giuste, ovvero credendo, affidandoci a Lui. L’uomo tuttavia, quando conosce gli eventi, tende a possederli, a controllarli, ad agire lui in prima persona. Per questo Dio predilige un’altra modalità profetica rispetto a quella, semplice ed immediata, di dirci in anticipo le cose che accadranno: Egli infatti vuole instradarci non verso la previdenza, ma verso l’abbandono alla Provvidenza.

L’anno scorso abbiamo messo a fuoco la prima sezione dell’Apocalisse, quella delle lettere alle Chiese.
Quest’anno metteremo a fuoco qualcosa della seconda sezione dell’Apocalisse: essa è molto più vasta ed anche letterariamente molto più articolata della prima, che in fondo era costituita da una visione iniziale e da sette lettere scritte tutte con lo stesso schema. Qui siamo di fronte ad una visione iniziale lunga due capitoli, che introduce la sezione dei sigilli, che rivela il senso della storia. Il settimo sigillo è costituito da un settenario di trombe, che chiamano al gran giorno di Dio. La settima tromba consiste in un settenario di flagelli che servono a ri-chiamare i malvagi alla conversione (essi infatti non hanno voluto ascoltare la chiamata delle trombe) attraverso l’esperienza degli effetti del male. Nel corso della storia infatti, coloro che compiono il male non sono necessariamente e immediatamente destinatari dei suoi effetti e questo spesso costituisce un’ingiustizia agli occhi degli uomini; il male spesso riversa le sue conseguenze su altre persone, per lo più innocenti. I sette flagelli invece fanno sì che i malvagi sperimentino le conseguenze del male, allo scopo di richiamarli al bene. Tutto questo, prima che il tempo si chiuda con la guerra definitiva tra il bene e il male e il giudizio finale. Ad esso seguirà un nuovo cielo ed una nuova terra con la preparazione delle nozze dell’Agnello e l’epilogo.

Vista la mole di materiale, passo velocemente in rassegna i contenuti principali da offrire alla vostra attenzione, attraverso un elenco numerato: sono da meditare almeno personalmente, ma possibilmente in comunità. Alcuni di essi si concludono con un impegno ecclesiale che vorrei fosse oggetto di discussione nei consigli pastorali e analoghi organi delle comunità elettive.

Questa è la vera e propria lettera pastorale. Segue un’appendice nella quale mi addentro maggiormente nello studio del testo per permettere di comprendere l’origine di alcune considerazioni espresse e per far gustare il testo a coloro che si pongono qualche domanda in più e hanno sete della Parola di Dio.
Come l’anno scorso seguirà uno schema dell’Apocalisse e il testo integrale di essa per poterlo seguire meglio.

La seconda parte dell’Apocalisse ci vuole dare alcuni insegnamenti sulle cose che devono accadere. A dir la verità gli insegnamenti sarebbero numerosissimi, tali da poterne scrivere molteplici pagine, ma desidero evidenziarne solo alcuni che ritengo utili per la condizione storica della nostra Chiesa Alessandrina, oggi:

La centralità di Dio
Il Regno dei cieli, che è in mezzo a noi, è descritto in forma di Liturgia. Al centro c’è il trono di Dio, con il Padre (Colui che siede), il Figlio (l’Agnello) e lo Spirito Santo (i Quattro Esseri Viventi). La visione introduttoria della seconda sezione ce lo mostra con molta chiarezza:
il nostro impegno
è porre Dio al centro della vita della Chiesa; è senza dubbio una priorità assoluta per una comunità cristiana e va circostanziata con concretezza per evitare che rimanga uno slogan.

La storia ha un senso
La storia dell’umanità ha un senso (eppure sembrerebbe assurda!) e l’Apocalisse, ovvero la Rivelazione, ha lo scopo di trasmetterlo a noi: questa rivelazione avviene attraverso l’apertura dei sigilli del rotolo che era tenuto in mano dal Padre.

L’Agnello dà senso alla storia
Il senso della storia risiede principalmente in Gesù Cristo e precisamente nell’Agnello immolato: Egli è venuto nel mondo e ne è uscito vittorioso per vincere ancora, come raccontato nel primo sigillo. L’evento della crocifissione, morte e risurrezione, cioè della redenzione, è quello che segna la svolta della storia, ma lo fa in un modo del tutto inaspettato…

…ma non elimina i problemi
Infatti la storia prosegue con le sue atrocità: la morte violenta, la carestia frutto di ingiustizia sociale, la morte (per spada, fame, peste e fiere della terra). Questo è raccontato nel secondo, terzo e quarto sigillo. I primi quattro sigilli sono i famosi quattro cavalieri dell’Apocalisse: essi sono chiamati uno per uno da ciascuno dei Quattro Esseri Viventi, ovvero da Dio stesso. Il senso è che nonostante l’atto redentivo, che resta vittorioso, tuttavia il mondo non viene definitivamente messo a posto da Gesù nell’ordine storico. Deve venire un’altra vittoria, che nell’Apocalisse condurrà al giudizio finale e ad un nuovo cielo e ad una terra nuova. Quindi la nostra vita su questa terra non può pienamente realizzarsi, non ha un compito reale cui dedicarsi? E – ancor peggio – l’opera di Cristo non ha un’efficacia storica ma rimanda solo ad un orizzonte escatologico? Sono domande che inquietano ogni uomo che si pone di fronte al mistero di Cristo, cercando di capirlo e viverlo.

Attendere il tempo
Come Gesù insegna nella parabola del grano e della zizzania, il suo scopo storico non è mettere in ordine il campo del mondo, ma sorprendentemente dice di attendere la mietitura. Sembra inspiegabile.
Il quinto sigillo va nella stessa direzione: da sotto l’altare degli olocausti, “le anime di coloro che furono immolati a causa della parola di Dio e della testimonianza che gli avevano reso” gridano a gran voce una forte domanda di senso; essi chiedono a Dio fino a quando non farà giustizia vendicando il loro sangue contro gli abitanti della terra. Tuttavia la loro richiesta non viene esaudita nell’immediato: viene chiesto loro di pazientare fino a quando non sia compiuto il numero dei loro fratelli che dovevano essere uccisi come loro.

Il senso spirituale della storia
Il senso della storia tuttavia non risiede esclusivamente nella fine dei tempi: anche se il Signore non vuole estirpare la zizzania dal campo del mondo, tuttavia vuole sconfiggere il male già in questa vita, pur se tale sconfitta non è immediatamente visibile. Dobbiamo però rispondere a due domande molto differenti tra loro che hanno la medesima risposta: qual è la modalità attraverso la quale Cristo ha vinto il male e anche noi nel mondo, associandoci a Cristo, lo possiamo vincere? E qual è la ragione per cui Dio ha deciso di non ottenere una vittoria immediata e completa? La risposta, unica, è: l’amore, perché Dio è amore. Riguardo alla prima domanda: è l’amore che vince il male, non la potenza o altro. L’uomo cerca di vincere il male bloccandolo o eliminandolo o confinandolo (ad esempio in prigione), tuttavia non riesce a difendersi dall’aggressione interiore (alla quale siamo molto esposti attraverso i media, che facilmente suscitano in noi una reazione interiore di sdegno, odio, cattiveria, contagiandoci così con il male quando vediamo atti malvagi). Questa dell’uomo non è una vera vittoria sul male. La modalità con cui l’amore vince è quella sacrificale: l’amore, dono di Dio effuso mediante lo Spirito Santo, rende sacra ogni esperienza, persino quella del male, facendo albergare nel nostro cuore il bene e la pace, frutto dell’amore. È vero: rimaniamo esposti alle conseguenze più materiali del male (da cui la domanda dei martiri al quinto sigillo), tuttavia l’anima è preservata. Solo alla fine dei tempi Dio ristabilirà un ordine differente, nel quale il male non avrà posto. E veniamo alla seconda domanda: perché? Perché Dio non impone la sua vittoria a prescindere dalla nostra volontà e il male è frutto della libertà che Dio rispetta e cerca di educare. Per questo alla domanda dei martiri nel quinto sigillo Dio risponde di aspettare, come nella parabola di Gesù sul grano e la zizzania: diversi cambiano e si convertono.
il nostro impegno
nella Chiesa non può essere volto a mettere ordine nella storia, o nella nostra città, come se portassimo avanti un progetto politico, sociale o caritatevole, e neppure a separare i buoni dai cattivi: dobbiamo avere la pazienza di attendere e di guardare in modo differente il rapporto con il male, dando una lettura che contempli anche il versante spirituale del male e del bene.

…è il regno di sacerdoti
L’Agnello è l’unico che, proprio in virtù della sua immolazione (offerta amorosa), può svelare il senso della storia. Egli ottiene una corona e regna perché ha vinto il male, ma tornerà per vincere ancora, perché attende che tutti gli uomini abbiano la possibilità di convertirsi. Tuttavia dobbiamo ricordare che, sempre in virtù della sua immolazione, da subito ha riscattato dalla schiavitù del male una moltitudine di persone che sono costituite un regno e sacerdoti per il nostro Dio, e regneranno su tutta la terra! Ma come? Associandosi all’Agnello immolato, seguendolo nel suo percorso: “Chi vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”. È vero, perdendo la propria vita la si guadagna e cercando di trattenerla la si perde. Il modo di regnare è – temporaneamente – solo spirituale e consiste nell’esercizio del sacerdozio (battesimale), ovvero nell’offerta amorosa a Dio delle proprie difficoltà e sofferenze sull’altare del proprio cuore. Regnare è essere sacerdoti. Ed essere sacerdoti implica vivere la Liturgia, che è il luogo nel quale i nostri atti sacerdotali (di offerta amorosa) si uniscono a quello unico, vero e definitivo di Gesù. Il legame tra regno e sacerdozio si vede anche in Cristo che, nell’imminenza del suo più alto atto sacerdotale, ha accettato la corona di spine; essa è segno di un regno che umanamente è semplicemente occasione di derisione, ma che nell’ordine soprannaturale è vero regno: solo in questo modo si diventa spiritualmente inattaccabili dal male che viene dall’esterno.

Il cuore della Liturgia
La Liturgia che si svolge davanti al trono di Dio (alla presenza e in visione) e non in un tempio (in immagine) non è in realtà un momento estetico. Riassume in sé la Liturgia celebrata nel tempio e la arricchisce dell’elemento fondamentale dell’immolazione di Gesù Cristo. La Liturgia non è un elemento decorativo, né un atto cortigiano nei confronti di un sovrano supremo, ma è l’espressione plastica di una convinzione esistenziale profonda: nel dramma della vita, l’uomo, per pura grazia, è salvato! E la salvezza, nell’ordine soprannaturale, è ben altra cosa dall’essere scampati ad una tragedia. È, semmai, redenzione: l’essere liberati dalla schiavitù del peccato, l’acquistare finalmente una dignità nuova e piena; è la possibilità di impostare una vita non segnata dai vincoli della schiavitù, ma protesa verso la costruzione di un’esistenza gioiosa, profonda, articolata, positiva, fruttuosa, pur se – in questa vita – comunque ostacolata dal male, nell’attesa dei cieli nuovi e della terra nuova. Tuttavia il male, lungi dal limitarsi ad essere semplicemente un problema, diventa incredibilmente un alimento, in quanto esalta l’amore, che è l’ingrediente principale della Liturgia. Si comprende, così, come la Liturgia non sia altro che la dimensione portante della vita della Chiesa: essa “è il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, al tempo stesso, la fonte da cui promana tutta la sua energia”.
In effetti il lavoro apostolico, spiega il Concilio Vaticano II in questa sua Costituzione, “è ordinato a che tutti, diventati figli di Dio mediante la fede e il battesimo, si riuniscano in assemblea, lodino Dio nella Chiesa, prendano parte al sacrificio e alla mensa del Signore”. Quindi per quanto la Sacra Liturgia non esaurisca tutta l’azione della Chiesa (ci sono multiformi attività ed azioni importantissime), tuttavia essa è centrale: basti solo pensare, come si evince dall’Apocalisse, che il Regno dei Cieli è descritto in forma liturgica.
il nostro impegno
come Chiesa è quello di riscoprire la vera ragione per vivere la Liturgia: perché l’Agnello è stato immolato, ovvero ha esercitato il proprio sacerdozio e ce ne ha resi partecipi. Fino a che la nostra Liturgia non parte da un’ardente consapevolezza della centralità dell’evento redentivo, risulterà incomprensibile e, per di più, noiosa.

Il sacerdozio ci è dato nel Battesimo
Gesù ci comunica il suo sacerdozio attraverso il Battesimo: esso è il sacramento che, attraverso il suo carattere, ci inserisce nel mistero pasquale di Cristo, attivando alcune nuove modalità di azione spirituale, quelle appunto sacerdotale, profetica e regale – tipiche dell’Agnello – al fine di poterle vivere a favore della nostra vita personale.
Esso inoltre ci incorpora nella Chiesa, articolandoci nel corpo mistico di Cristo, ben ordinato e connesso. Infine ci purifica dal peccato originale e da ogni peccato, facendo di noi una nuova creatura, iniziando una nuova modalità di vita.
In modo particolare, la modalità sacerdotale è quella attraverso la quale possiamo offrire al Signore i problemi e le difficoltà della nostra vita trasfigurandole da sterili dolori a fecondi eventi di grazia, pur non perdendo esse la loro caratteristica intrinseca di problema e difficoltà. Ed è così che regniamo nella storia anche prima del cielo nuovo e della terra nuova: attraverso l’unico modo di vincere il male, che è l’amore; esso infatti è l’essenza stessa di Dio. Dunque amare anche chi ci odia, anche chi ci tortura, è l’unico modo per far vincere il bene sul male.
il nostro impegno
come Chiesa è quello di riscoprire il sacerdozio comune, o battesimale, dei fedeli ed esercitarlo in modo conscio, condividendone i successi e gli insuccessi nella nostra comunità.

Il sigillo sulla fronte
Al sesto sigillo un angelo grida a gran voce ai quattro angeli, che sono ai quattro angoli della terra e trattengono i quattro venti, di non devastare la terra né il mare né le piante, finché non sarà stato impresso il sigillo sulla fronte dei servi del nostro Dio. È qualcosa nello spazio (secondo il numero cosmico: quattro) e nel tempo (secondo il numero del tempo: tre; terra, mare e piante). Viene dato un congruo tempo perché ovunque i servi di Dio possano essere sigillati sulla fronte; è un’allusione all’uso del crisma, che esprime l’impressione di un carattere da parte del sacramento. Qui il riferimento è il Battesimo e, in modo particolare, la Cresima, per la quale la Chiesa ha voluto riprendere proprio con le parole della Liturgia l’immagine dell’Apocalisse di imprimere sulla fronte dei servi di Dio “il sigillo dello Spirito Santo che ti è dato in dono”.

il nostro impegno
come Chiesa è quello di dare alla preparazione alla Cresima un significato preciso, riferito al contesto della vita di fede: è il sacramento che ci segna per la testimonianza (martyrìa) richiamando l’effusione dello Spirito Santo a Pentecoste, che ha dato inizio alla Chiesa. È il sacramento che ci fa vivere con pienezza l’Eucaristia nella sua dimensione di ricapitolazione sacerdotale della nostra vita quotidiana.

Il settimo sigillo: le sette trombe
Il settimo sigillo presenta un nuovo settenario, quello delle trombe: esse sono la chiamata al gran giorno di Dio. Nel settenario dei sigilli Dio ha rivelato che la storia deve essere compresa partendo dall’immolazione dell’Agnello e che le negatività della vita sono inevitabili e vanno prese con l’atteggiamento di offerta amorosa dell’Agnello. Ma quando le anime degli uccisi a causa del Vangelo hanno chiesto giustizia, dopo un invito a pazientare, seguito dalla preparazione dei servi di Dio (il sigillo sulla fronte), ecco che la settima rivelazione è il percorso verso il grande giorno di Dio che aprirà la strada a un rinnovamento dell’universo. Questo grande giorno, tuttavia, è preceduto da una chiamata, perché si deve arrivare ad una chiarificazione che nella storia mancava: quella per cui il bene e il male diventano evidenti e conseguentemente finisce il tempo della conversione e della scelta libera. Ci sono quattro trombe (numero cosmico) con una struttura molto simile, mentre le ultime tre trombe sono guai e hanno una struttura più articolata e variegata.

La settima tromba: i sette flagelli
La settima tromba è costituita da un nuovo settenario: quello delle coppe o dei flagelli. È il richiamo alla conversione delle persone che non hanno voluto ascoltare la chiamata al gran giorno di Dio. Questa chiamata è costituita essenzialmente dal fatto che progressivamente al male corrispondono le sue conseguenze, contrariamente al fatto usuale che tanto fa interrogare – e scandalizzare – l’uomo: come mai molte persone che agiscono male vivono bene? Al settimo flagello c’è dunque la distruzione di Babilonia, la grande città. È interessante la corrispondenza tra il binomio formato da Babilonia e la grande prostituta con quello formato da Gerusalemme che scende dal cielo e la donna vestita di sole: queste ricorrenze per contrapposizione sono frequenti nell’Apocalisse. Babilonia rappresenta la città con la logica mondana che accresce la sua potenza del tutto noncurante, o persino sprezzante, di Dio.

Le nozze dell’Agnello
Dopo la caduta di Babilonia ha luogo la battaglia di Armaghedòn tra il bene e il male, il giudizio finale e così viene introdotto il compimento escatologico con il nuovo cielo e la nuova terra. L’Apocalisse si conclude con la preparazione delle nozze dell’Agnello con “la fidanzata, la sposa dell’Agnello”. È il grande mistero della Chiesa, così grande da assumere proporzioni che sembrano addirittura esagerate! Prendiamo ad esempio il Credo; in esso la parola “credo” ricorre quattro volte: Credo in Dio, Credo in Gesù Cristo, Credo nello Spirito Santo, Credo la Chiesa. Il primo è Dio, il secondo è Dio, il terzo è Dio. Ma che c’entra la quarta ricorrenza? Solo l’Apocalisse ci dà una risposta intelligibile a questa obiezione: la Chiesa è “la promessa sposa, la sposa dell’Agnello”. Ecco perché è così importante da comparire addirittura negli articoli del Credo. A ciò che la Chiesa non è per natura – ovvero Dio – viene assimilata per grazia, in virtù di un legame d’amore, quello sponsale. Non per nulla “Dio è amore”.
Solo in questa prospettiva riusciamo a comprendere le parole scandalose, almeno quanto l’inserimento della Chiesa negli articoli del Credo, che Gesù pronuncia nell’ultima cena: “Padre Santo, custodiscili nel mio nome, quelli che mi hai dato, perché siano una sola cosa, come noi. […] Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato”. Anche qui: il Padre è Dio, il Figlio è Dio, noi no. È un testo ostico: devo forse diventare Dio? Come è possibile? Questa nostra unione con il Padre e il Figlio è talmente vertiginosa da non essere comprensibile se non nella prospettiva sponsale presentata nell’Apocalisse. Solo così il quadro si illumina e diventa sostenibile dal punto di vista intellettuale: serve una lettura collettiva (siano una sola cosa) e sponsale (in noi, come io e te siamo una sola cosa), altrimenti quelle parole di Gesù rimangono oscure. Quella collettiva: non sono io che devo diventare una sola cosa con Dio, ma la Chiesa nel suo insieme. Quella sponsale: non c’è un cambio di natura, ma la Chiesa diventa sposa dell’Agnello.
il nostro impegno
come Chiesa è quello di vivere ed approfondire il mistero della Chiesa: una, santa, cattolica e apostolica nelle sue articolazioni principali. E anche pregare per essa. Sulla scorta dell’anno pastorale passato con le lettere agli angeli delle Chiese, suggerirei di pregare il Santo Rosario ricordando il Vescovo e i nostri sacerdoti, uno per ogni Ave, o Maria. Noi assicuriamo di ricambiare questa preghiera con la nostra!

Concludo con un pensiero alla nostra Madonna della Salve che abbiamo festeggiato in modo anomalo, ma molto sentito, durante il lockdown della pandemia del Covid-19 (a proposito della cui collocazione nell’ambito dell’Apocalisse potete leggere in appendice).

Clementissima Patrona,
a Te affidiamo questo anno pastorale;
Tu che nel simulacro e nei nostri cuori
sei scolpita insieme a San Giovanni,
autore dell’Apocalisse,
fa’ che, vincendo lo scandalo del dolore,
possiamo riconoscere l’amore dell’Agnello
e, imitandolo, rendere sempre più bella
la nostra Chiesa Alessandrina
in vista delle nozze eterne.
Amen.