Le opere

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OPERE DI SCULTURA

Oltre le sculture di cui si è già parlato nella descrizione dell’interno e delle cappelle della Cattedrale, ve ne sono altre che meritano di essere ricordate sia per motivi artistici che storici. Nell’ambulacro dell’abside, insieme al gruppo del Crocifisso, vi sono anche quattro busti in marmo bianco di pregevole valore artistico, che già esistevano nell’antica Cattedrale. Raffigurano quattro illustri benefattori. Il primo è del Vescovo Mons. Scaglia (A. Deodato Scaglia Epis. Alex.).

Questo illustre Vescovo, bresciano dell’Ordine di S. Domenico, venne eletto alla Sede alessandrina il 16 luglio 1644. Morì il 3 marzo 1659, all’età di 78 anni e venne sepolto in S. Marco. Il nipote abate Giacinto Scaglia faceva eseguire il busto del Vescovo, che veniva poi messo in Cattedrale in suo perpetuo ricordo. Mons. Deodato Scaglia insegnò all’Università di Bologna, fu Vescovo di Melfi, quindi trasferito da papa Urbano VIII al Vescovado di Alessandria. Qui promosse l’erezione e diede impulso al Monte di Pietà (1652); nel 1657 assistette e difese gli alessandrini nell’assedio dei francesi; pose la prima pietra della chiesa di S. Ignazio in Cittadella e della nuova cappella della Salve (2 ottobre 1645); restaurò il Palazzo Vescovile. Segue il busto del Vescovo Mons. Mugiasca (Albertus Mugiasca Ep. Alex.). Anche questo Vescovo nativo di Como, era Domenicano. Venne eletto alla Sede di Alessandria il 7 ottobre 1680; morì a Como l’11 settembre 1694. Il Capitolo fece erigere il suo busto in Cattedrale nello stesso anno 1694. Mons. Alberto Mugiasca indisse il Sinodo Diocesano il 21 aprile 1684; ampliò ed abbelli il Palazzo Vescovile; fece doni munifici alla cappella di S. Giuseppe nel Duomo; ottenne come reliquia insigne, le ossa di S. Lorenzo martire. Alla morte lasciò tutto il suo patrimonio alla Cattedrale per provvedere decorosamente alle funzioni sacre e per benedire i poveri. Il terzo benefattore ricordato con un busto marmoreo è il Card. Carlo Ciceri (Card. Carolus Ciceri Ep. Alex.). Nativo di Como, figlio del banchiere Vincenzo, fu eletto Vescovo di Alessandria il 23 settembre 1659.

Morì in Como il 24 giugno 1694 in età di 76 anni. Ampliò il Palazzo Vescovile, acquistando la casa attigua e facendo costruire la Cappella. E’ assai ricordato per la sua pietà, per la carità verso i poveri e per lo zelo nel decoro della Cattedrale. Tenne il Sinodo Diocesano il 27 aprile 1677. Trasferito nel 1680 alla Diocesi di Como, fu eletto Cardinale. Il Card. Ciceri fu anche Governatore di Spoleto e di Ferrara come Vice Legato; fu Ponente della Consulta e Votante della  Segnatura di Giustizia. Altro busto, dovuto all’opera dello scalpello di Giacomo Filippo Parodi, ricorda il Conte Giacomo Filippo Sacco (Jacob. Phillipp. Sacco – Sen. Mediol.). Figlio di Luchino, medico valente e di Maria Boschiotti, morì in Milano il 15 agosto 1550. Fu celebre giureconsulto, Conte Palatino, Cavalliere aurato, Presidente del Senato di Milano. Fondatore e benefattore della grande Cappella di S. Giuseppe nell’antico Duomo, venne in quella stessa cappella sepolto. Regalò alla Cattedrale di Alessandria 16 pezze di tappezzeria di seta tessuta, riproducenti la vita di Mosè. Degno di nota è pure il busto di S. Pietro in marmo bianco, che orna la grande Sacrestia del Duomo. E’ opera di Giovanni Battista Comolli, nato in Valenza il 19 febbraio 1778 e morto in Milano il 26 dicembre 1830. Fu allievo del Canova e insegnò scultura all’Università di Torino. Tra le sue principali opere meritano particolare ricordo: il gruppo di marmo raffigurante Dante e Beatrice, che con altre sculture si trovano nella villa Melzi a Bellagio; due busti scolpiti per l’Arco della Pace di Milano; un busto di Napoleone I, conservato nel Museo Civico di Genova. Nel corridoio di accesso alla Sacrestia vi è infissa nel muro una grande pietra tombale. Era il coperchio, in alto rilievo, del mausoleo di Mons. Marco Cattaneo, Vescovo di Alessandria (1458-1478), eretto in Cattedrale in cornu Evangelii dell’Altare Maggiore. autore dell’opera: Pier Antonio da Solero nel 1484. Mons. Marco Cattaneo de’ Capitani, novarese e appartenente all’Ordine dei Predicatori di S. Domenico, organizzò la Diocesi di Alessandria con criteri innovativi, largheggiò nel beneficare i poveri, provvide a una maggiore istruzione del Clero, dotò la Cattedrale di preziosi arredi ed oggetti sacri. Morì il 1° marzo 1478.

Le Epigrafi

Purtroppo la maggior parte delle lapidi che ornavano o chiudevano i numerosi sepolcri della vecchia cattedrale, andarono perdute.

Le poche che furono recuperate, con quelle appartenenti alla nuova cattedrale del primo periodo (1810-1874) vennero collocate parte in chiesa, altre lungo il corridoio di entrata alla sacrestia. Le trascriviamo seguendo per comodità l’ordine di posizione, invece di quello cronologico.

In chiesa, nell’atrio della navata della Salve, vi sono due lapidi in marmo. Furono qui trasportate nel 1879 dalla primitiva cappella della Salve costruita su disegno di Valizzone. La prima ricorda l’incoronazione della Madonna della Salve nel 1843; la seconda fu posta con decreto del consiglio comunale di Alessandria il 30 luglio 1849, in memoria dei prodi alessandrini caduti per l’indipendenza d’Italia durante gli anni 1848-1849.

QUADRI SU TELA

La cattedrale di Alessandria possiede una collezione di quadri su tela, che con quelli già ricordati nella descrizione delle cappelle, formano un importante e notevole patrimonio artistico, seppure bisognoso di molte e urgenti opere di restauro. La presenza di questi quadri potrebbe far credere che si tratti di quadri già esistenti nel vecchio duomo. Invece non è così. Come abbiamo veduto, ben poco passò dall’antica alla nuova cattedrale: parte dell’arredamento risultò deteriorato e fu abolito, parte andò distrutto nella forzata demolizione.

La presenza di molti quadri di un certo pregio esistente ancor oggi nelle nostre chiese va perciò spiegata ben diversamente.

In Alessandria durante il secolo XIX numerosi edifici religiosi (chiese ed istituti) furono sottoposti a trasformazioni ed anche a demolizioni. Questo sopruso, iniziata su vasta scala dalla dominazione napoleonica, veniva giustificato con esigenze militari o con motivi di cosiddetta necessità pubblica. In tali frangenti le varie suppellettili e soprattutto gli oggetti d’arte venivano tempestivamente occultati dai religiosi o dai laici addetti al servizio degli stessi edifici, col nobile scopo di salvare un patrimonio religioso che altrimenti sarebbe andato perduto oppure avrebbe preso la via della frontiera.

Passato il pericolo, gli stessi oggetti rivedevano la luce per comparire ora in una chiesa ora in un’altra. Così si spiega la presenza di molti quadri nelle nostre chiese. Purtroppo non vi sono tutti: una parte divenne preda dell’astuzia degli antiquari che giocarono sull’avidità dei possessori. Dopo questo preambolo, passiamo in rassegna i dipinti disposti in parte nelle due aule capitolari della nostra cattedrale e in parte nella chiesa stessa.

QUADRO DEL B. AMEDEO

Nell’aula capitolare vi è un primo dipinto settecentesco che rappresenta il Beato Amedeo IX, terzo duca di Savoia. Era l’icona della chiesa dedicata al Beato nell’ospedale militare della Cittadella di Alessandria.
Notizie di questa chiesa si trovano nel Chenna: “Terminatosi il regio ospedale nella nuova Cittadella, fu lo spedale di S. Giacomo (si trovava presso il convento di S. Matteo) con i suoi fondi e colle sue rendite colà trasferite, e si aprì con la traslazione dei soldati infermi il giorno 3 di giugno 1782. La chiesa in esso eretta però non è più dedicata all’apostolo S. Giacomo, ma al B. Amedeo duca di Savoia”.

Il quadro in parola è del pittore Gian Battista Morelli, della scuola torinese di Claudio Beaumont (1694-1766). Rappresenta il B. Amedeo che in ginocchio venera la Madonna della Consolata. Ai suoi piedi, su di un cuscino, è deposta la corona dei Savoia; nello sfondo si delinea la città di Torino. A destra, innanzi al Beato, due angeli sostengono una cartella sulla quale sta scritto in sintesi il programma che uniformò tutta la sua vita: “Facite iudicium et iustitiam et diligite pauperes”; Pronunziate il giudizio, rendete giustizia e amate i poveri.

A sinistra in basso, vi è la firma dell’autore con la data 1763.

Destinato a qualche chiesa di Torino, il quadro fu poi portato in Alessandria nel 1782 per essere destinato alla nuova chiesa in Cittadella. Artisticamente ha un pregio relativo. Storicamente il quadro ha invece un valore apprezzabile, ricordando una delle tante chiese di cui Alessandria era ricca e che purtroppo oggi sono del tutto scomparse.

La Madonna del Rosario ed il Presepio

Nella sacrestia capitolare vi sono altri due quadri che furono donati il 15 agosto 1849 dal sig. Domenico Oliva, capitano delle Regie cacce. In origine appartenevano alla distrutta chiesa di S. Siro.

Uno rappresenta la Madonna del Rosario con S. Domenico e S. Caterina. Nello sfondo di delinea una bella chiesa: forse quella di S. Siro? Le tinte non sono vivaci, ma nel complesso si ha l’impressione di un buon pennello. Il quadro viene attribuito a Carlo Aliberti di Asti, il quale aveva pure dipinto egregiamente le cappelle della concezione, di S. Andrea e di S. Giuseppe nel vecchio duomo. L’Aliberti (1662-1740) lavorò in Asti, Alessandria, Cuneo, Chierasco, Pavia, Casale.

Il secondo quadro rappresenta i pastori al presepio. Tutta la luce è concentrata sul bambino Gesù che riceve l’adorazione di Maria, Giuseppe e tre pastori. Sono evidenti gli effetti coloristici della scuola veneta del sec. XVI. Non si conosce l’autore, ma il quadro si ritiene della scuola dei Bassano. Con tutta probabilità di questo dipinto se ne fecero anche riproduzioni ad acquaforte. La supposizione è basata sulla scoperta di una lastra di rame con una testa di Cristo dipinta ad olio, portante nel rovescio l’incisione della suddetta natività.

Il figliuol prodigo e Giuseppe venduto dai fratelli

Ancora nell’aula capitolare i quadri del Figliuol prodigo e di Giuseppe ebreo. Il primo proviene dalla chiesa del B. Amedeo in Cittadella, fu donato il 30 dicembre 1889 dal can. Stefano Berta. Il vecchio padre sta aiutando il prodigo a svestire i logori indumenti, mentre un terzo personaggio tiene pronti per rivestirlo abiti nuovi ed eleganti. Si notano contrasti di ombre taglienti con le luci grigie e livide: nelle figure vi è una forza e grandiosità degna delle generazioni di Michelangelo. Si dichiara “probabilmente del Guercino o almeno di qualche suo allievo”.

L’altro quadro, Giuseppe ebreo venduto dai fratelli, appartiene alla collezione di famiglia del marchese Francesco Guasco di Bisio, che lo regalò il 5 giugno 1848. È un magnifico quadro storico della scuola genovese del sec. XVII: qualcuno lo attribuisce al Grechetto (1610-1665). L’episodio è diviso in due scene. A destra il giovane Giuseppe viene esaminato da un gruppo di mercanti per riscontrare in lui, come si fa per gli animali, tutti i pregi ed i vantaggi dell’acquisto; a sinistra un mercante sta contando ai fratelli i trenta denari pattuiti per il cambio. I pregi del quadro sono: signorilità di forma; limpidezza di pennellata; eleganza di composizione; accorgimento nel trattare le stoffe.

S. Girolamo Emiliani

Un quadro-icona che esisteva nella chiesa di S. Siro, trovasi ora nel coretto destro della cappella della Salve in cattedrale. Esso è di ignoto autore; artisticamente buono, si può attribuire al sec. XVIII e con tutta probabilità tra il 1747 ed il 1767. Questi furono i due anni rispettivamente della beatificazione e della canonizzazione dell’Emiliani. È fuori dubbio che i Somaschi non appena avvenuta la beatificazione del loro fondatore, abbiano subito a lui dedicato un altare con la sua immagine. In questa furono espressi vari concetti. S. Pio V in abito papale è in atteggiamento di accogliere in santo abbraccio Girolamo Emiliani. Dietro questi, quasi testimoni, fanno capolino i suoi due primi seguaci: i sacerdoti bergamaschi Agostino Barili e Alessandro Besozzi. Inoltre se ricordiamo che S. Girolamo Emiliani morì nel 1538 mentre Pio V fu papa nel periodo 1566-1572, è evidente l’intenzione del pittore e dei suoi committenti di riprodurre non già una scena reale, ma bensì ricordare simbolicamente la benevolenza del S. Papa, per cui merito la congregazione Somasca entrò definitivamente tra le istituzioni approvate dalla Chiesa e, per di più, poté stabilirsi degnamente in Alessandria.

Il quadro scomparso nel 1796 durante l’invasione dei francesi, lo si rivide il 26 giugno 1846, quando il sig. Domenico Oliva di Alessandria, Capitano delle regie cacce, lo passò, rinunciando ad ogni suo diritto, alla chiesa cattedrale.

 S. Giuseppe da Copertino e S. Veronica

In via XXIV Maggio, innanzi all’imbocco di via Verdi, si osserva ancor oggi, tutta bucherellata dai bombardamenti e deturpata da insulsi adattamenti la facciata di una antica chiesa. Era dei Minori conventuali, che pare si stabilissero in Alessandria per volere dello stesso S. Francesco d’Assisi di passaggio nella nostra città.

Di tale chiesa esistono ancora tre opere d’arte. Una magnifica statua dell’Immacolata, del 1500, e due quadri. La prima si venera attualmente nel santuario del S. Cuore dei RR. PP. Cappuccini; i quadri invece sono rimasti in cattedrale, nell’ambulacro della porta laterale destra. Ritirati nel 1802 dal gen. Campana, prefetto di Alessandria, furono consegnati al can. Francesco De Porzelli, il quale a sua volta li collocava in cattedrale.

Rappresentano S. Giuseppe da Copertino e S. Veronica Giuliani. Il primo quadro appartiene al secolo XVII. Vi campeggia un grande crocifisso ai cui piedi stanno in commossa adorazione la Madonna e S. Giuseppe da Copertino, il grande mistico dell’ordine dei Conventuali (1603-\663). Peccato che l’annerimento dei colori renda molto difficile la visione dell’artistico gruppo.

Il secondo quadro raffigura un’altra mistica santa, Veronica Giuliani (1660-1727), che fu stigmatizzata e ricevette sul capo l’impronta della corona di spine. Questo quadro è del XVII secolo e quantunque meno bello del primo, riproduce con vero senso di religiosità l’estasi della Santa che si abbandona al Divin Redentore, mentre lo sfondo si apre ad una chiara visione del cielo.

Quattro tele del convento delle Carmelitane

Della chiesa dei SS. Giuseppe e Teresa, si conservano in cattedrale quattro quadri. Due nell’atrio della porta laterale di sinistra e due nella cappella del S. Cuore. I primi rappresentano S. Teresa che venera S. Giuseppe e la visitazione della vergine a S. Elisabetta; i secondi rappresentano, a mezza figura, l’Ecce Homo e l’incredulità di S. Tommaso apostolo. Tutti questi quadri appartengono alla scuola genovese del secolo XVII; però non si conosce il nome dell’autore e neppure si ha notizia dell’epoca in cui pervennero in cattedrale. Esaminiamo il primo quadro. Maria SS. conduce S. Teresa di Gesù a venerare S. Giuseppe. L’episodio, suggerito dalla speciale devozione a S. Giuseppe della riformatrice del Carmelo, è inquadrato da una bella teoria di angeli; i colori sono vivaci e la tecnica risente di quell’eclettismo che caratterizzava la pittura genovese del 600. Il quadro era l’icona della chiesa delle Carmelitane Scalze.

Il secondo quadro rappresenta l’incontro tra Maria SS. e la cugina Elisabetta. La scena evangelica, che si svolge in un ambiente tipicamente medioevale, ha due testimoni: il vecchio sacerdote Zaccaria ed un’ancella. È una squisita composizione di schietto sapore raffaellesco. L’Ecce Homo ricorda la maniera degli scolari lombardi del Leonardo. Un soldato reggendo il manto rosso a Gesù, mette in evidenza il suo corpo piagato. Il Cristo arieggia una figura cinquecentesca di Andrea Solario. Il quarto quadro offre la scena del cenacolo, allorquando S. Tommaso viene invitato da Gesù a porre la mano nella piaga del costato. Intorno ai protagonisti, Gesù e Tommaso, vi sono altri quattro apostoli in atteggiamenti tra i curioso ed il soddisfatto. La scena luminosa e disinvolta risente l’influenza della scuola del Tiepolo.

Daniele nella fossa dei leoni

Nel coretto a sinistra della cappella di S. Giuseppe vi è una grande tela che rappresenta Daniele nella fossa dei leoni, mentre riceve cibo dal profeta Abacuc trasportato a volo da un angelo (Dn 14, 31-38). Faceva parte dell’antico e grandioso sepolcro dipinto per la cattedrale di Alessandria da Bernardino Galliari d’Andorno (1707-1794). Di questo pittore vi sono buoni quadri in parecchie chiese di Lombardia e Piemonte: lavorò anche a Berlino. La sua fama maggiore è però dovuta ai dipinti di scene e sipari di teatri. Il sipario e la decorazione del Regio di Torino era del Galliari.