Omelia Santa Messa Festa della Donna

Festa della donna
Es 20, 1-17; 1Cor 1, 22-25; Gv 2, 13-25
Carissime,
la liturgia della parola di quest’oggi, nella sua prima lettura, ci ha presentato il decalogo: il Signore dà all’uomo delle indicazioni, delle regole da seguire. Perché ci sono delle regole? Perché una società per vivere bene, equilibratamente, armoniosamente, ha bisogno di alcune attenzioni e di alcuni binari che aiutino a costruire un vivere civile sereno e sicuro. I comandamenti sono per noi, per il nostro bene; tutte le volte che li infrangiamo, la nostra anima, per prima, è danneggiata. La cosa impressionante, ad esempio, è che la devastazione peggiore in un omicidio avviene dentro l’anima di chi lo ha commesso. E se un omicidio è così tragico, fisicamente parlando per la vittima, immaginiamoci quanto più tragico sia, in un ordine spirituale, per la persona che lo commette, perché il vero perdente è chi ammazza, chi usa violenza, questi è il vero perdente: una persona che non sa interpretare la vita, che non capisce il senso delle cose è una persona che diffonde il male, ed è veramente malata. I comandamenti ci vengono dati per vivere una vita armoniosa per noi e nella società. La cosa interessante è che Dio non si è fermato a questo, infatti: “Quando è venuta la pienezza del tempo, Dio, ha mandato il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare, redimere coloro che erano sotto la legge perché ricevessimo l’adozione a figli”. Gesù è venuto a darci qualcosa di nuovo. Se noi dovessimo riassumere l’insegnamento di Gesù in un comandamento, quello nuovo: “Amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi”, saremmo ancora imprecisi perché, in realtà, la nuova alleanza non consiste nell’adempiere questo comandamento, ma in quello che viene descritto nell’Antico Testamento: Dio mette lo spirito nei nostri cuori, e lo Spirito è l’amore stesso del Padre verso il Figlio e del Figlio verso il Padre. Perciò nella nuova alleanza non ci viene dato un solo comandamento, ma ci viene data una possibilità: quella di amare. Ecco allora che, come l’uomo è fatto ad immagine e somiglianza di Dio, e l’immagine di Dio consiste nell’avere intelletto e volontà, Dio nel corso della storia viene in soccorso all’uomo spiegandogli che cosa è il bene, (parte intellettiva, prima alleanza) e dandogli la possibilità di viverla, cioè di amare (nuova alleanza). Questa immagine dell’uomo nei confronti di Dio ha storicamente una realizzazione progressiva; ma questa realizzazione è problematica per noi perché, quando arriviamo all’amore, e sappiamo che l’amore è la cosa più complicata che ci sia, fatichiamo a star dietro a Dio. È quello che desideriamo ma fatichiamo. Abbiamo sentito la seconda lettura: “Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunziamo Cristo crocifisso: scandalo per i giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio. Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini”. L’amore ha questa particolarità che sembra capovolgere un po’ tutto: lo si mostra al sommo grado quando ci si consuma, ci si spende e ci si dona all’altro. Un po’ come le candele: danno luce consumandosi. È per questo che Gesù Cristo ha dato la vita; non è una specie di visione cupa, negativa, autolesionistica della realtà; lo scopo non è consumarsi ma illuminare. Noi, tutte le volte che cerchiamo di fare delle cose buone, sappiamo bene che ci costano fatica. Alle olimpiadi gli atleti sono contenti, ma quanto tempo hanno dedicato all’allenamento! Ore, ore e ore tutti i santi giorni. Anche noi sappiamo che l’amore, la luce che viene portata nel mondo, ha un suo prezzo e chiede una interiorità. L’amore non è un gesto esterno ma un atto che parte dal profondo dell’uomo. Ecco perché Gesù entrando nel tempio, scaccia tutti dicendo: “Non fate della casa del Padre mio un mercato”. Tutti rimangono sconvolti e, naturalmente, i Giudei gli chiedono: “Quale segno ci mostri per fare queste cose?”. “Non hai le autorizzazioni del sommo sacerdote, vieni qui e sconvolgi tutto, spiegaci, dacci un segno”. E Gesù dice una cosa sconvolgente: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere”. Questi interpretano questa risposta come potremmo interpretarla tutti noi: “Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?”. Giovanni soggiunge: “Ma egli parlava del tempio del suo corpo”. Noi abbiamo un corpo che è un tempio, cioè il luogo di una presenza, della presenza di Dio. Che bella questa cosa, che rivoluzione! Gli ebrei avevano un luogo fisico: c’era l’arca dell’alleanza che era diventata mitica proprio per il fatto che era il luogo fisico dove – dicevano – Dio poggia i suoi piedi e il luogo dove c’è Dio. Con la vita cristiana noi diventiamo il tempio e scacciare i mercanti dal tempio è una cosa che dobbiamo fare tutti perché vuol dire far sì che il nostro corpo sia il luogo di una presenza, la presenza di Dio. Allora comprendiamo come l’atto di amore sia qualcosa che parte dal profondo di noi, dal santuario della nostra anima, dal santo dei santi che è in noi. E comprendiamo che questo si realizza in pienezza nella celebrazione eucaristica, nella quale il Signore Gesù dice: “Questo è il mio corpo consegnato per voi”. E quando il ministro, alla comunione, dice: “Il corpo di Cristo”, non sta indicando un oggetto di devozione, un qualcosa di santo e benedetto, una reliquia da toccare, ma un qualcosa di molto più profondo: con il corpo di Cristo siamo chiamati ad interiorizzare anche l’anima e la divinità di Cristo e fare della nostra vita un dono d’amore. Questa è la cosa straordinaria. Carissime donne, da sempre siete un esempio per la capacità d’amare vissuta nella quotidianità, in quella rete di relazioni che seguite con attenzione e con passione. Tutti siamo nati da una mamma, tutti portiamo nel nostro cuore il sapore di questo amore quotidiano, speso in una semplicità che, a volte, fa faticare a vederlo risplendere per la sua naturalezza, eppure così profondo. Non dimentichiamo che la Madonna, la più grande santa della storia, è diventata santa senza aver ricevuto il sacramento dell’ordine, senza aver predicato, senza essere morta martire, senza essere andata ad evangelizzare; ha fatto la mamma e la casalinga con un amore, una purezza, una profondità e condivisione straordinarie. In questa nostra città, che trova nella Madonna della Salve la sua patrona e il suo riferimento spirituale, siamo chiamati a vivere questa spiritualità mariana con profondità. Vi lascio questo messaggio: continuate a far risplendere questo amore così grande, così semplice e così profondo; quell’amore di cui portiamo il sapore nel cuore fin dalla nostra infanzia e che è il dato di fatto che ci accompagna per tutta la vita. Il Signore vi accompagni in questa vostra capacità straordinaria perché sappiate essere, nella società e in questo mondo dell’egoismo e dell’individualismo, luce di gratuità. La Vergine Maria ci accompagni con la sua intercessione e ci porti nella profondità del mistero di questa celebrazione eucaristica, perché sappiamo incontrare l’amore di Cristo, e impariamo a compiere le nostre azioni facendole partire dal profondo del nostro cuore e dall’amore.
Sia lodato Gesù Cristo.