Omelia Giovedì Santo

Giovedì Santo: “Cena del Signore”
Es 12, 1-8.11-14; 1Cor 11, 23-26; Gv 13, 1-15
Carissimi abbiamo ascoltato questo testo del libro dell’Esodo, dodicesimo capitolo, nel quale viene narrata la pasqua ebraica. “Il dieci di questo mese, il primo mese dell’anno – l’anno inizia con l’equinozio di primavera – ciascuno si procuri un agnello per famiglia, un agnello per casa … senza difetto, maschio, nato nell’anno … lo conserverete fino al quattordici di questo mese: allora tutta l’assemblea della comunità di Israele lo immolerà al tramonto. Preso un po’ del suo sangue lo porranno sui due stipiti e sull’architrave delle case nelle quali lo mangeranno. È la pasqua del Signore, il passaggio”. “In quella notte io passerò per la terra d’Egitto e colpirò ogni primogenito della terra d’Egitto, uomo o animale; così farò giustizia di tutti gli dei dell’Egitto. Io sono il Signore! Il sangue sulle case dove vi troverete servirà da segno in vostro favore: io vedrò il sangue e passerò oltre”. Ascoltando questo testo immaginavo fisicamente la mia salvezza segnata dal sangue dell’agnello: dice, infatti, che il sacrificio di un animale, di un agnello, grazie al suo sangue, viene sancita la mia salvezza. La domanda che viene: “Ma forse questo testo veramente non andrebbe letto questa sera, andrebbe letto domani; domani è il giorno del sangue, domani è il giorno in cui Cristo versa il sangue per noi; domani è il giorno in cui Gesù segna la nostra anima, il nostro cuore con il suo sangue, per la nostra salvezza. È quel sangue versato domani che ci salva”. Potrebbe sembrare che questo testo sia in anticipo, tuttavia il punto è questo: Dio ci fa diventare giusti, cioè santi, non in virtù di qualcosa che abbiamo fatto noi, giustificati per le opere che compiamo, per le opere della legge, ma santi in virtù del sangue di Cristo. Questa salvezza viene a noi non con un processo meccanico e automatico, ma interagisce con il mistero della nostra libertà che Dio non vuole violare. Ecco allora l’evento che accadrà domani: il sangue sarà versato per noi e per la nostra salvezza e giustificazione; di fronte all’angelo sterminatore saremo testificati come giusti da quel sangue che diventa nostra salvezza. Questa interagisce con la nostra libertà attraverso un evento che è la liturgia; ecco perché siamo qua, perché in questa sera l’istituzione dell’eucaristia ci sta dicendo una cosa più grande: Dio interagisce con noi non in tu per tu mistico, spirituale, personale, devozionale, ma in un evento di popolo che interpella la nostra libertà e chiede al nostro cuore, alla nostra anima, al nostro profondo una adesione personale. La salvezza non è per i bravi, nessuno di noi è più bravo degli altri; la salvezza è un dono gratuito di Dio al quale dobbiamo rispondere con un “sì” vero, libero, profondo; e questo “sì” avviene nella liturgia. Ecco l’istituzione dell’eucaristia: il sangue dell’agnello versato nel venerdì santo, viene presentato a me attraverso il rito che, da vivo, Gesù istituisce la sera prima. In realtà, secondo gli ebrei, è quello stesso giorno, perché al tramonto si immola l’agnello e, quindi, nella mentalità ebraica il giovedì sera è già venerdì. Questo per dire che ciò che viviamo adesso nella liturgia, ha un valore e una potenza grandissima; è nella liturgia che siamo messi di fronte alla adesione personale che ci fa dire: “Signore siamo qua, salvaci con il tuo sangue. Accettiamo di stipulare questa alleanza tra noi e te, accettiamo di essere nella Chiesa a vivere questo dono della tua salvezza”. È per questo che comprendiamo che Gesù è titolato a salvarci. Perché il popolo d’Israele doveva essere salvato dal sangue di un agnello? Che cosa aveva di speciale un agnello per salvare il popolo d’Israele? Solo Cristo, il figlio dell’uomo, vero Dio e vero uomo, colui che in se stesso è il sommo sacerdote, il mediatore tra Dio e gli uomini perché Dio e uomo, può essere il sacerdote, l’unico sommo sacerdote; egli è in se stesso ontologicamente mediatore tra Dio e gli uomini. Questo agnello indicato da Giovanni Battista all’inizio del suo ministero: “Ecco l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo”, è colui che ci salva. Nella liturgia questo agnello interpella la nostra adesione personale. Gesù lo spiega nell’ultima cena: “Io sono qui per servirvi”. Lo spiega con quel gesto eloquente della lavanda dei piedi che dà il senso della liturgia: “Io sono qui come vostro servo, sono qui per lavare i vostri piedi, sono qui per salvarvi; la mia vita è piegata ai vostri piedi perché possiate ottenere salvezza”. Cristo ai piedi di ciascuno di noi. Difficilmente possiamo accettare questo. Come mi ritrovo nella reazione di Pietro: “Signore tu non mi laverai i piedi in eterno. Tu sei mio Maestro, sei il mio Signore”. E Gesù gli risponde spiegando quello che sta facendo: “Se non ti laverò, non avrai parte con me”. “Il mio lavare i piedi è il modo con cui tu puoi entrare nella comunione con me nel regno dei cieli”; non un ricatto ma la descrizione di quello che sta succedendo: “Pietro entri nel regno solo attraverso il mio farmi servo”. Vedete cari fratelli e sorelle, questo è lo stile che ci insegna Gesù: “Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi”. Carissimi, mi sento vostro Vescovo solo se sono capace di lavarvi i piedi, e mi sento tanto piccolo, tanto incapace e inadeguato in confronto a lui, il Maestro e Signore, di cui adesso comprendiamo la magistrale signoria di quel gesto. Adesso, a distanza di tanti secoli, si illumina questo gesto nel quale Gesù veramente è il maestro e ci insegna a fare lo stesso. Gesù è il Signore perché la sua signoria si manifesta nel suo servizio nei nostri riguardi; è in questo che comprendiamo che è veramente il Signore, è in questo gesto che Cristo trionfa. Siete disposti a farvi lavare i piedi dal vostro Vescovo, o preferite guardarlo con un naturale atteggiamento umano? La grandezza di questo gesto ci costringe a sperimentare che la vita cristiana è altro rispetto alla nostra impostazione mentale, e la liturgia ci insegna tutto questo. D’altronde come è possibile mangiare il corpo di Gesù, bere il suo sangue nella liturgia? Non è forse il ricevere Cristo inginocchiato ai nostri piedi? Forse anche noi possiamo dire: “Io non voglio?”. Ma non possiamo perché non avremmo parte con Cristo; la salvezza, infatti, viene attraverso questo annientamento. Questo è il grande mistero che celebriamo questa sera, questo è il mistero della mirabile fantasia di Dio che viene offerta a noi, al nostro intelletto e al nostro cuore perché lo possiamo comprendere e vivere gli uni verso gli altri; quel gesto ricevuto è un invito a farlo: “L’ho fatto perché lo facciate anche voi”. Tutto questo ci fa pensare, nella sua scandalosa brutalità, al fatto che anche noi dobbiamo farci servi degli altri, e avvertiamo quanto siamo incapaci a dare corso vero e vivo a questo gesto esterno affinché diventi atto interiore di una vera spiritualità. Ma dobbiamo provarci. Non si impara attraverso giochini mentali: lasciamoci provocare dallo scandalo di questa liturgia.
Sia lodato Gesù Cristo.