Il Logos della profezia

Home / Monsignor Guido Gallese / Il Logos della profezia
L’Apocalisse: libro di profezia, stile di vita

Carissimi, la lettera pastorale di quest’anno sarà un po’ inusuale per oggetto e modalità. Per l’oggetto, il libro dell’Apocalisse: è l’unico libro profetico del Nuovo Testamento e, a causa del suo genere letterario (apocalittico, appunto: denso di immagini e simboli) è di difficile comprensione. Per giunta molte interpretazioni, soprattutto di stampo millenaristico, destano perplessità e tuttavia catturano a livello istintivo una buona parte di fedeli. La fatica di contrapporne altre sane e coerenti fa sì che si cada facilmente nella tentazione di soprassedere e di occuparsi di altro, rendendo ancora più difficile la soluzione del problema dell’interpretazione del testo. A questo contribuisce il fatto che l’Apocalisse si occupa dell’escatologia, includendo nella sua narrazione una tale quantità di castighi (quasi esclusivamente nei confronti degli empi, in realtà), da far sì che il suo stesso titolo abbia perso il proprio significato originario (in greco: rivelazione) acquisendo quello di “catastrofe, rovina totale, fine del mondo” (v. Dizionario Treccani online). Questo genere di tematiche e modalità da una parte allontana le persone che di fronte a questi temi preferiscono rifugiarsi in testi più rassicuranti, dall’altra avvicina persone che hanno curiosità talvolta connotate da una certa morbosità. Tenere il giusto equilibrio in questo contesto è molto difficile, come si può capire. Cerchiamo tuttavia di farlo con la serena coscienza che fatalmente sarà difficile avere l’oggettività e la precisione auspicata. Per la modalità: lo scopo di questa lettera pastorale non è quello di elencare una serie di cose da fare, ma di far “entrare” la nostra Chiesa nell’Apocalisse. Vogliamo assumere come Chiesa il desiderio di trovare in questo testo profetico il nostro posto e di assumere la dinamica di vita che in esso è proposta.

Per questo fine bisogna avere la pazienza di mettersi in ascolto di un testo che non si presenta in modo immediatamente comprensibile, ma dopo aver richiesto un impegno significativo nell’attenzione, che potrebbe risultare pesante, offre spunti e visioni straordinariamente godibili. Come dice la lettera alla chiesa di Laodicea: “Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me […]. Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese.” (Ap 3,20.22).

Papa Francesco nell’Amoris Lætitia (n. 261) dice che “si tratta di generare processi, più che dominare spazi”. Mi permetto di renderla in una formula ancora più forte, dal momento che in realtà nessuno vuole dominare semplicemente spazi: “si tratta di generare processi, più che dominare situazioni”. E credo che anche questa sia vera. Io amo pensare queste stesse cose con categorie diverse, mediate dall’universo del gioco: la tattica è importante, ma più ancora la strategia. A volte ci appassioniamo a tattiche, a modi di ottenere un vantaggio, un miglioramento delle cose, ma la vera vittoria risiede nella scelta della giusta strategia. Parola di un tattico puro. Mio padre mi insegnò a giocare a scacchi a cinque anni e fu lui ad improntare il mio gioco ad una modalità meramente tattica: per me gli scacchi consistevano nel trovare una serie di mosse, magari anche lunga, mediante la quale ottenere un vantaggio.

Da buon tattico avevo imparato anche tutti i finali di partita in modo tale che, raggiunto un vantaggio sufficiente, potevo scambiare i pezzi fino a giungere al finale di partita che mi avrebbe dato la vittoria. Giunto in seminario mi è capitato di giocare contro un programma di scacchi per computer. Lo battevo al primo livello, ma perdevo al secondo. Un giorno vedo un mio compagno di seminario giocare al livello due e vincere. Mi sono fermato a guardare con maggiore attenzione e facendo domande: “Come mai hai mosso quel cavallo?”. Io lo muovevo perché immaginavo una serie di mosse che mi avrebbero portato ad un vantaggio concreto. Lui rispondeva: “Così… non so ancora a cosa servirà ma, portato più avanti nella scacchiera, minaccia un numero maggiore di caselle e prima o poi verrà utile…”. Le mie domande sono continuate, variando sui differenti pezzi. La risposta sostanzialmente era la stessa. Alla fine lui batteva il computer al secondo livello e io cominciavo ad aprire un capitolo nuovo nella storia della mia mente. Chiediamoci: la nostra pastorale è tattica, per obiettivi, oppure strategica, per larghe linee di fondo? Nella mia vita ho potuto osservare che il Vangelo è strategico: dà delle linee di fondo che lì per lì sembrano anche assurde (perché amare? Non è un atto di debolezza? Perché perdonare? Non basta semplicemente sopportare, non creare problemi?), tuttavia sulla lunga distanza ti fanno trovare nella condizione giusta per vivere al meglio la tua vita.

La profezia

L’oggetto della profezia

L’Apocalisse è un testo profetico che riguarda il presente e il futuro: “Scrivi dunque le cose che hai visto, quelle presenti e quelle che devono accadere in seguito” (Ap 1,19). In effetti letterariamente è divisa in due parti distinte: le lettere alle sette chiese (Ap 2-3), riguardanti il presente; e la sezione composta dal settenario dei sigilli (Ap 6-20) e dalla descrizione del cielo nuovo e della terra nuova (Ap 21,1-22,7), riguardante il futuro. Ciascuna delle due parti è preceduta da una visione preparatoria (Ap 1,9-20 e Ap 4-5). Queste due sezioni sono inserite tra un indirizzo di saluto (Ap 1,4-8) e una conclusione (Ap 22,8-15). Il tutto è incorniciato in un prologo (Ap 1,1-3) ed un epilogo (Ap 22,16-21) di carattere redazionale. Dal punto di vista letterario l’Apocalisse è ricca di settenari non necessariamente strutturati; il settenario dei sigilli invece sembra articolato in modo più raffinato: il settimo sigillo è costituito dal settenario delle trombe, la settima tromba dal settenario delle coppe, con il racconto della sorte di Babilonia.

L’interpretazione della profezia

L’Apocalisse è dunque un testo profetico. Ma cosa vuol dire? Abbiamo nella testa l’idea che il profeta sia una persona capace di predire in nome di Dio l’accadere di cose future. In realtà la profezia nel mondo biblico si discosta molto dalla chiaroveggenza del mago: il profeta ha il suo primo compito nel leggere il proprio tempo presente alla luce della Parola di Dio.

Talvolta non si limita a questo, ma parla di qualcosa che sta nel futuro rispetto a lui. Prendiamo il primo esempio di profezia realizzata nel Nuovo Testamento: Mt 1,22-23. “Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele, che significa Dio con noi”. Questo testo dunque è la realizzazione della profezia di Isaia (Is 7,10-17): leggiamola.

10Il Signore parlò ancora ad Acaz: 11«Chiedi per te un segno dal Signore, tuo Dio, dal profondo degli inferi oppure dall’alto». 12Ma Acaz rispose: «Non lo chiederò, non voglio tentare il Signore». 13Allora Isaia disse: «Ascoltate, casa di Davide! Non vi basta stancare gli uomini, perché ora vogliate stancare anche il mio Dio? 14Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele. 15Egli mangerà panna e miele finché non imparerà a rigettare il male e a scegliere il bene. 16Poiché prima ancora che il bimbo impari a rigettare il male e a scegliere il bene, sarà abbandonata la terra di cui temi i due re. 17Il Signore manderà su di te, sul tuo popolo e sulla casa di tuo padre giorni quali non vennero da quando Èfraim si staccò da Giuda: manderà il re d’Assiria»”.

La prima osservazione da fare è che è proprio il Vangelo che ci dice che il fatto che è accaduto – la nascita di Cristo – è la realizzazione di una profezia di Isaia che, nel suo contesto originario, sembra non riferirsi ad altro che alla venuta del re d’Assiria. Dunque se uno legge la profezia al tempo di Isaia sembra che si rivolga al futuro; se la legge dopo la venuta del re d’Assiria, fino alla venuta di Gesù, sembra che si rivolga ad un fatto ormai passato; se la legge dal tempo di Gesù in avanti la profezia si rivolge al Cristo. A causa di questa ambiguità, non è un caso che tra le interpretazioni dell’Apocalisse se ne trovino tante che la riferiscono ad eventi già passati. Per capire come va interpretata una profezia del Nuovo Testamento su eventi futuri, dobbiamo capire come va interpretata una profezia dell’Antico Testamento riferentesi ad eventi del Nuovo, come in una sorta di proporzione.

Così vediamo che Acaz ascoltando solo le parole di Is 7,14 avrebbe potuto capire che una vergine (come quasi tutte le donne non sposate di quella società) avrebbe concepito e partorito un figlio e l’avrebbe chiamato Emmanuele. La profezia quindi avrebbe riguardato il primogenito di una vergine di nome Emmanuele. Non tanti casi, ma neppure pochissimi. Ma quando lo leggi ai tempi di S. Matteo il caso è unico: c’è una vergine che concepisce e partorisce e tuttavia rimane vergine; il figlio, pur chiamandosi Gesù, secondo l’indicazione dell’angelo, sarà l’Emmanuele essendo nella sua persona il Dio-con-noi.

Dunque la profezia ha lo scopo non di farci vedere in anticipo ciò che accadrà, ma di farci accorgere – quando accadrà – che essa si riferiva a quel momento storico e lo identifica in modo piuttosto univoco, pur se non immaginabile previamente nella sua modalità. Così va letta una profezia dell’Apocalisse.

Rimane da capire cosa sia il presente e quale sia il futuro. Innanzitutto diciamo che le sette chiese sono “geograficamente ben localizzate (cfr. 1,11), ma che per il numero sette sono intese come un insieme, una totalità; ciò che viene detto alle sette chiese vale allora per la chiesa come tale, di ogni tempo e luogo” 1. Qui abbiamo già un’indicazione sul tempo: la parte delle sette chiese sembra essere diretta al presente di ogni chiesa di ogni tempo. Per quanto riguarda invece la parte sul futuro, essa inizia dall’apertura dei sette sigilli e giunge sino alla fine del libro. Inizia dal primato del Cristo risorto (primo sigillo), che esce vittorioso per vincere ancora e, passando per tutta una serie di traversie e di persecuzioni del maligno seguite dalla caduta di Babilonia, arriva sino alla vittoria finale di Cristo, al giudizio definitivo e all’instaurazione di un nuovo cielo e di una nuova terra, con la Gerusalemme celeste pronta per le nozze con l’Agnello. Da come l’Apocalisse è costruita, il punto focale è un futuro “definitivo” al quale non siamo ancora giunti: in quale modo vada interpretato il testo in tale caso l’abbiamo detto poco sopra a proposito della profezia. Rimane da capire come si interpreti l’Apocalisse riguardo agli accadimenti situati tra la morte e risurrezione di Cristo e gli eventi ultimi. Ci arriveremo.

Il significato

Prologo

I primi tre versetti del libro ci descrivono in modo straordinariamente accurato il contenuto del libro:

“Rivelazione (Apokàlypsis) di Gesù Cristo, al quale Dio la consegnò per mostrare ai suoi servi le cose che dovranno accadere tra breve. Ed egli la manifestò, inviandola per mezzo del suo angelo al suo servo Giovanni, il quale attesta la parola di Dio e la testimonianza di Gesù Cristo, riferendo ciò che ha visto. Beato chi legge e beati coloro che ascoltano le parole di questa profezia e custodiscono le cose che vi sono scritte: il tempo infatti è vicino”.

Il testo è una rivelazione, non bisogna dimenticarlo. Sia per l’origine (visioni e locuzioni) sia per il contenuto: rivela qualcosa che è importante da sapere per le Chiese. È una rivelazione di Gesù Cristo. Non di Giovanni o di altri: di Gesù Cristo, è Lui che rivela perché è il Verbo di Dio.

La rivelazione di Gesù Cristo gli è stata consegnata da Dio, come si vede nella visione dei capitoli 4 e 5, quando l’Agnello prende dalle mani di colui che siede sul trono il rotolo di cui deve rompere i sigilli. Questo rotolo potrebbe anche essere l’Apocalisse stessa, visto il contenuto; è comunque un libro completamente scritto con “tutto quello che riguarda l’umanità e la sua storia” 2.

Questa rivelazione è consegnata da Dio a Gesù Cristo per mostrare ai suoi servi le cose che dovranno accadere tra breve, nel senso profetico di cui abbiamo parlato sopra: i passaggi sono molteplici e strutturati. Dio, Gesù Cristo, l’angelo, Giovanni e l’assemblea di coloro che ascoltano le parole della profezia. Giovanni ha il compito di testimoniare la parola di Dio e la testimonianza di Gesù Cristo.

Dopo i primi due versetti che raccontano tutta la catena di trasmissione di questa rivelazione, il terzo versetto spiega l’essenza del contenuto: è una profezia che deve essere letta in un contesto liturgico, perché c’è un lettore e coloro che ascoltano. Essi hanno il compito di custodire le cose scritte. Le dimensioni profetica e liturgica sono coessenziali per la comprensione del testo nella sua interezza.

Sguardo d’insieme

Dal punto di vista letterario l’Apocalisse ha una collocazione veramente impegnativa: è il testo che racconta le cose ultime, “le cose che stanno per accadere tra breve” (Ap 1,1). Come tale, si trova a chiudere, di fatto, l’intero testo che conosciamo con il nome di Bibbia. Perciò domandarsi sul contenuto dell’Apocalisse significa di fatto domandarsi come vada a finire la Bibbia. La risposta è sorprendente; tanto più sorprendente quanto più noi siamo sviati da secoli di banalizzazioni del testo apocalittico che l’hanno ridotto ad una caricatura di se stesso: una raccolta di castighi mandati da Dio agli uomini, nei quali abbiamo perso ogni prospettiva ed ogni ordine, appiattendo tutto il testo su ciò che è maggiormente raccontato: i problemi, le lotte, i flagelli, le coppe dell’ira divina, i guai, gli interventi del demonio, il dragone rosso, la bestia, il 666, la cavalleria infernale, la battaglia di Armaghedòn, lo stagno di fuoco. Come la nostra storia tra la salvezza operata da Cristo e gli eventi ultimi è costellata di problemi e della fatica di affrontarli alla luce del Vangelo, così l’Apocalisse ci presenta una realtà ordinaria fatta di problemi e dell’ostinata azione del demonio nella storia, che rende il Vangelo di Cristo talvolta tanto difficile da realizzare e addirittura da considerare come vittorioso. È vero: talvolta sembra perdente! Ed ecco, in questo panorama sconfortante e sconcertante, la lucida visione della realtà portataci dall’Apocalisse, scritta da Giovanni come libro di consolazione per i cristiani nella tribolazione: essa è un libro di rivelazione (apokàlypsis) che ci aiuta a leggere gli eventi che viviamo nella giusta prospettiva e nell’ordine implacabile nel quale sono collocati. Un ordine in cui ogni immolazione (che càpita – ahimè! –, che càpita sovente nella storia), ogni martirio, ogni ingiustizia viene riscattata e trasfigurata da un evento di resurrezione, proprio come Cristo ha voluto portare la salvezza nel mondo in questo modo deviato: passando attraverso la propria morte per tortura, senza evitarne un solo scampolo, per giungere alla risurrezione; è come se nell’autostrada della vita, quando arriviamo all’uscita “Salvezza per tutti gli uomini” anziché trovare un largo svincolo trovassimo un cartello giallo con la laconica scritta “deviazione”, senza altre indicazioni, e ci trovassimo a passare per vie che mai avremmo immaginato. È così che Cristo ha voluto comunicare la potenza della sua risurrezione ad ogni uomo, fino al giorno in cui essa diventerà l’evento definitivo e palese della storia dell’umanità, che si conclude con la preparazione delle nozze dell’Agnello.

Dunque: come va a finire la Bibbia? È una domanda alla quale difficilmente si trova un cristiano che sappia dare una risposta con cognizione esatta della questione. La narrazione ci dice che l’Agnello è stato immolato ed è risorto, dopo di che la storia continua il suo corso con i suoi potenti, re, mercanti, signori, prostitute, condottieri, eserciti, guerre. Nulla sembrerebbe cambiato salvo il fatto che la vittoria dell’Agnello e dei suoi angeli nei cieli apre la porta anche alla vittoria sulla terra, sebbene questo, lì per lì, non sembri. Ma la storia fa il suo corso e colui che è seduto sul cavallo bianco ed esce vittorioso per vincere ancora 3, il Re dei Re e Signore dei signori 4, il leone della tribù di Giuda 5, l’Agnello 6, il fedele e veritiero, che giudica e combatte con giustizia 7, il Verbo di Dio 8, riesce a far sì che la volontà di Dio sia fatta come in cielo così in terra. Il modo in cui questa trasposizione di luogo accade non è immediatamente chiaro, tuttavia il testo si svolge narrativamente su due piani differenti: quello celeste e quello terrestre. Quello celeste è dominato dalla Liturgia e continua a produrre delle interazioni sempre più consistenti con il piano terrestre, fino alla completa realizzazione del disegno di Dio.

Suggerisco a questo punto una lettura del testo, senza la quale l‘Apocalisse rimane in una nebbia fitta, senza speranza di essere dissipata. Per affrontarla è necessario avere un approccio basico: dal momento che l‘interpretazione della parte riguardante le cose che devono accadere è impossibile, secondo quanto già detto, cerchiamo semplicemente di capire cosa dice il testo, senza necessariamente giungere a cosa significhi. Questo libro richiede molte letture per essere compreso e anche tante spiegazioni. Troverete molte immagini e simboli: vi chiedo semplicemente di metterli a fuoco nella loro descrizione: vedremo più avanti l‘interpretazione. La cosa sulla quale concentrarsi sarà, piuttosto, la struttura del libro; a questo scopo abbiamo cercato di preparare uno schema, purtroppo limitato nelle dimensioni, ma spero comunque intelligibile. L‘idea è di controllare, mentre si legge, in che sezione del testo ci si trova per avere una utile collocazione mentale.

Durante questo anno avremo modo di approfondire l‘Apocalisse sia attraverso il discernimento comunitario, che ci condurrà ad un percorso più pastorale, sia sviscerando il testo, in una lectio divina proposta mensilmente al sabato sera nella quale avrò modo di spiegare il libro e ci sarà anche modo di fare delle domande e sciogliere dubbi, fin dove possibile.

Una domanda cruciale

Parlare di disegno di Dio solleva nel nostro cuore una serie di domande, un flusso di emozioni e paure. C’è un disegno di Dio? Richiede la nostra collaborazione? Lo stiamo realizzando o siamo solo il prodotto di un comportamento sociale? Realizzare il disegno di Dio nella storia, oggi, significa realizzare tutto il Vangelo oppure dobbiamo solo fare un tratto di strada lasciando che certe pagine del Vangelo siano realizzate da altri nella storia?

Dare una risposta a queste domande è difficile. Cominciamo perlomeno a dare un criterio di continuità: se la vita definitiva è quella descritta nell’Apocalisse, dobbiamo farci delle domande su dove siamo e dove stiamo andando. Stiamo veramente dirigendoci in quella direzione? Stiamo ascoltando con attenzione ciò che lo Spirito dice alle Chiese?

L’Apocalisse come liturgia

Dicevo in un’omelia: “Perché il demonio è così sconvolto dalla vista di Gesù? «Basta! Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci?». Perché Gesù è quello che porta lo sconvolgimento nella storia e, in questo giorno in cui facciamo memoria di S. Gregorio Magno, vorrei ricordarvi che il modo in cui Gesù porta lo sconvolgimento nella storia è esattamente, più di qualunque altro, la Liturgia! Che stiamo celebrando adesso. Quello che stiamo celebrando adesso è lo sconvolgimento della storia: è Cristo che porta nel mondo la dinamica di morte e risurrezione – che noi contempliamo adesso nello svolgersi di questa liturgia -, la dinamica di morte e risurrezione che fa sì che tutti i malanni, le catastrofi, i problemi, le fatiche, le morti, le sofferenze, le malattie,… tutte le cose, possano trovare una loro ricapitolazione nel Signore: una risurrezione. La Liturgia è quella che porta la dinamica di morte e risurrezione nella nostra vita e quindi tutta la nostra vita altro non è che capire quello che succede in questa celebrazione e cercare di esportarlo nella giornata, cioè vivere oggi la morte e risurrezione, morte e risurrezione, morte e risurrezione in ogni nostra azione perché la vita di Cristo prenda il dominio della mia vita di oggi, della mia giornata, alla lunga, della mia storia. In modo che nessuna morte possa fermarmi, nessuna sofferenza, nessun torto, nessuna persecuzione: nulla potrà mai fermarmi perché di fronte ad ogni cosa io sono più che vincitore in virtù di colui che mi ha amato (cfr Rm 8,37)” 9.

Il punto centrale per capire il libro dell’Apocalisse è che esso è una grande Liturgia. Cerchiamo di sviscerarlo.

La struttura liturgica dell’Apocalisse

L’Apocalisse è divisa in due parti: la sezione delle lettere e la sezione profetica. Come le due “mense” della Messa: mensa della Parola (Liturgia della Parola) e mensa dell’Eucaristia (Liturgia Eucaristica). La sezione delle lettere alle Chiese, come abbiamo detto, si occupa del presente, dell’ascoltare la Parola di Dio, “ciò che lo Spirito dice alle Chiese” 10. La sezione riguardante ciò che deve avvenire è quella che descrive il modo in cui le cose si svolgono e si avviano verso la conclusione, quando l’angelo dice: “Beati gli invitati al banchetto di nozze dell’Agnello!” 11. E la Liturgia Eucaristica va a concludersi proprio con lo stesso invito dell’Apocalisse: “Beati gli invitati alla mensa del Signore, ecco l’Agnello di Dio!”. La sezione su ciò che deve avvenire è inframmezzata da continui inni e cori liturgici che proclamano incessantemente le lodi di Dio e rendono grazie. Allo stesso modo la Liturgia Eucaristica (dal greco: di rendimento di grazie) realizza la presenza salvifica di Cristo in mezzo al suo popolo orante e adorante. Attraverso questo (“in ogni cosa rendete grazie: questa infatti è la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi” 12), il popolo di Dio concorre a rendere attiva nel cammino della nostra storia la vittoria dell’Agnello immolato e risorto (nella celebrazione eucaristica Cristo si rende presente vivo, risorto, proprio nel momento in cui il celebrante dice le parole della Sua immolazione: “vidi, in mezzo al trono, circondato dai quattro esseri viventi e dagli anziani, un Agnello, in piedi, come immolato”). Così Egli fa “di noi un sacrificio perenne” a Dio gradito; nella Liturgia Eucaristica si dice anche: “Ricordati di tutti i presenti, dei quali conosci la fede e la devozione: per loro ti offriamo e anch’essi ti offrono questo sacrificio di lode, e innalzano la preghiera a te, Dio eterno, vivo e vero, per ottenere a sé e ai loro cari redenzione, sicurezza di vita e salute”.

Ricapitolando, l’Apocalisse è concepita come una grande Liturgia nella quale c’è una Liturgia della Parola, in cui le Chiese si confrontano con ciò che lo Spirito dice loro; e una Liturgia Eucaristica, aperta dall’Agnello, nella quale non si è chiamati ad una semplice riflessione e ad un cambiamento, ma gli eventi vengono condotti ad una soluzione che attua il disegno di Dio nella storia: l’Agnello infatti, quando rompe il primo sigillo, introduce subito l’ingresso in scena del cavallo bianco. “Colui che lo cavalcava aveva un arco; gli fu data una corona ed egli uscì vittorioso per vincere ancora”. Questo cavaliere è Cristo stesso che tornerà in scena più avanti: “E vidi: ecco una nube bianca, e sulla nube stava seduto uno simile ad un Figlio d’uomo: aveva sul capo una corona d’oro e in mano una falce affilata”. Egli ricompare di nuovo al momento di preparare la battaglia finale: “Vidi il cielo aperto, ed ecco un cavallo bianco; colui che lo cavalcava si chiamava Fedele e Veritiero: egli giudica e combatte con giustizia. […] Sul mantello e sul femore porta scritto un nome: Re dei re e Signore dei signori”.

Dunque l’Agnello introduce il senso della storia presentando la vittoria del Cristo morto e risorto, quel Cristo che poi appare in un atteggiamento di signoria, pronto a mietere le nazioni: la visione si concretizza con l’introduzione dei sette flagelli che culminano con la distruzione di Babilonia, la grande prostituta. Si giungerà così alla preparazione delle nozze dell’Agnello.

Come dunque la storia viene condotta da Cristo? Come viene portata al compimento, alla vittoria sul male? Custodendo la Parola di Dio e la testimonianza (martyrìa) di Gesù Cristo. Sono sempre le due parti della Liturgia. È lei che plasma la vita, le vite, la storia. Anzi: è lo sconvolgimento della storia! Realizzare il disegno di Dio nel mondo non consiste in altro che nel vivere la Liturgia. Ma attenzione: siamo troppo abituati a guardare alla Liturgia come ad un susseguirsi di parole ed azioni dentro un contesto sacro, affidandoci a lei quasi come a qualcosa di magico. No: la Liturgia è impegno vero, che chiede un grande ascolto nei confronti di una Parola che va contro gli schemi mondani nei quali viviamo e porta ad un impegno di testimonianza, che è innanzitutto la testimonianza di Gesù Cristo che poi diventa la nostra: la nostra martyrìa.

Essa non è l’eroico sforzo di volontà fino alla perdita della vita, di cui ben pochi sarebbero capaci, ma la consegna amorosa del proprio essere a Cristo e ai fratelli che ami. Questo atto d’amore non deve essere il semplice frutto di una decisione interiore, ma la spinta dello Spirito Santo, che, essendo l’Amore donato, ha il potere di trasformare ogni offerta amorosa in immolazione, che a sua volta porta ad una risurrezione. Per questo la Liturgia perpetua nel tempo il passaggio morte-risurrezione, perché la vera soluzione trovata da Dio al problema del male non è il suo sistematico sradicamento dal campo, come fosse zizzania, ma la sua diretta sconfitta attraverso un atto d’amore che, passando per la morte a noi stessi, ci conduce alla risurrezione. Questa dinamica attinge la sua forza non semplicemente dalle nostre convinzioni morali e spirituali, né dalla nostra robustezza interiore, bensì da un dono di grazia che ci viene offerto nella celebrazione liturgica.

Per questo la frequenza della partecipazione alla Messa non può essere individuata attraverso un precetto universale, ma si rivela nell’effetto performativo che essa ha nella nostra vita inserendoci nel mistero pasquale di Cristo, quindi nei termini di una dinamica di morte e risurrezione.

La struttura apocalittica della liturgia

Mi rifaccio per questo paragrafo al prof. Scott Hahn, statunitense, classe 1957, docente di Teologia e Sacra Scrittura presso l’Università Francescana di Steubenville, in Ohio. Perché proprio a lui? Perché era un pastore presbiteriano convertitosi attraverso un interessante percorso intellettuale ed esistenziale alla Chiesa Cattolica: la narrazione della sua conversione è contenuta in Roma dolce casa (Rome sweet home) un gustosissimo libro scritto a due mani con sua moglie che racconta in modo vivo il travaglio del loro viaggio interiore verso Roma. La cosa interessante è che il movimento di conversione è diventato febbrile proprio nel momento in cui Scott ha partecipato per la prima volta alla celebrazione eucaristica feriale in una cappella a Milwaukee: ciò che per noi potrebbe essere talvolta noioso (indicativo è il peso dato alla durata della celebrazione per la valutazione di essa da parte di un cristiano medio) è stato per lui incendiario, illuminante, coinvolgente. Stupendosi poi di non vedere altrettanto entusiasmo negli altri cattolici.

In La cena dell’Agnello. La Messa come paradiso sulla terra, scrive: “La Messa è vicina e familiare, il libro dell’Apocalisse, invece, sembra remoto e incomprensibile. Pagina dopo pagina mostra immagini strane e spaventose di guerre e piaghe, bestie e angeli, fiumi di sangue, rane diaboliche e draghi con sette teste. E l’elemento più simpatico è un agnello con sette corna e sette occhi. «Se questa è solo la superficie» dice qualche cattolico «non penso di voler vedere più a fondo»”. L’idea di Scott Hahn è quella che il senso dell’Apocalisse si dischiude attraverso la celebrazione eucaristica proprio perché la Liturgia è piena di elementi presenti nell’Apocalisse; ne elenca quasi 30 (culto domenicale, sommo sacerdote, altare, preti, paramenti, celibato consacrato, candelabri, penitenza, incenso, libro, ostia eucaristica, calici, segno della croce, gloria, alleluia in alto i vostri cuori, Santo, Amen, Agnello di Dio, Vergine Maria, intercessione di angeli e santi, devozione a S. Michele arcangelo, canto antifonale, lettura delle Scritture, sacerdozio dei fedeli, cattolicità o universalità, contemplazione silenziosa, banchetto nuziale dell’Agnello).

Vorrei lasciare alla vostra lettura e meditazione il racconto della partecipazione alla prima Messa della sua vita; è straordinario per freschezza e profondità:

Stavo in incognito, da ministro protestante in borghese, e mi ero infilato in una cappella cattolica a Milwaukee, in fondo a tutto, per vedere per la prima volta una Messa. La curiosità mi aveva condotto qui, ma non ero sicuro che fosse sana curiosità. Studiando gli scritti dei primi cristiani trovavo innumerevoli riferimenti alla “liturgia”, “l’Eucaristia”, “il Sacrificio”. Per quei primi cristiani, la Bibbia – il libro che amavo più di tutti – era incomprensibile senza quell’evento che i cattolici attualmente chiamano “la Messa”. Cercavo di capire i primi cristiani; ancora non avevo esperienza di liturgia. Così mi persuasi ad andare a vedere, come una sorta di esercizio accademico, giurando che non mi sarei inginocchiato né avrei preso parte all’idolatria. Presi posto nell’ombra, in un banco proprio in fondo a quella cappella nascosta. Davanti a me c’era un buon numero di fedeli, uomini e donne di tutte le età. Le loro genuflessioni mi impressionavano, così come il loro apparente raccoglimento in preghiera. Poi suonò una campana ed essi si alzarono, quindi il prete uscì da una porta al lato dell’altare.

Nell’incertezza restai seduto. Per anni, da calvinista evangelico, ero stato portato a credere che la Messa fosse il massimo sacrilegio che un uomo potesse commettere. La Messa, pensavo, era un rituale che pretendeva di “sacrificare di nuovo Gesù Cristo”. Rimasi così ad osservare. Sarei rimasto seduto, con la mia Bibbia aperta accanto a me. Man mano che la Messa andava avanti, comunque, qualcosa mi colpì. La mia Bibbia non era solo accanto a me. Essa era davanti a me – nelle parole della Messa! Un versetto era di Isaia, un altro dei Salmi, un altro di Paolo. Era un’esperienza travolgente. Volevo fermare tutto e gridare: “Ehi, posso spiegarvi cosa sta succedendo in base alla Scrittura? È grandioso!”. Tuttavia mantenevo la mia condizione di osservatore. Rimasi in disparte fino a quando udii il prete pronunciare le parole della consacrazione: “Questo è il Mio corpo… Questo è il calice del Mio sangue”.

A quel punto sentii sparire i miei dubbi. Quando vidi il prete elevare quell’ostia bianca, avvertii una preghiera che sgorgava dal mio cuore sussurrando: “Mio Signore e mio Dio. Sei davvero Tu!”. Da quel punto in poi divenni ciò che si potrebbe definire un caso disperato. Non potevo immaginare un’emozione più grande di ciò che quelle parole avevano suscitato in me, ma di lì a poco questa sensazione aumentò quando sentii l’assemblea recitare: “Agnello di Dio… Agnello di Dio… Agnello di Dio”, e il prete rispose: “Questo è l’Agnello di Dio…” ed elevò l’ostia.

In meno di un minuto l’espressione “Agnello di Dio” era ricorsa quattro volte. Grazie ai lunghi anni di studio della Bibbia, immediatamente riconobbi il punto in cui mi trovavo. Ero nel Libro dell’Apocalisse, dove Gesù è definito l’Agnello non meno di ventotto volte in ventidue capitoli. Ero al banchetto nuziale che Giovanni descrive alla fine del libro conclusivo della Bibbia. Ero davanti al trono celeste, dove Gesù è sempre salutato come l’Agnello. Non ero pronto per questo, comunque – ero a Messa!

La liturgia è la più grande profezia

Parlando della profezia rimane ancora qualcosa da dire: il profeta non si limita alla parola, esistono anche gesti profetici: la vita stessa del profeta diventa alcune volte un segno per il popolo di Dio. Il profeta così in parole ed in opere indica la strada da percorrere, contribuendo alla realizzazione della volontà di Dio nella storia del suo popolo.

Tuttavia nella Liturgia è Cristo stesso che parla ed agisce, indicando ed instaurando nella storia la sua vittoria di risorto. Ed essendo Gesù Cristo vero Dio, oltre che vero uomo, la sua parola è efficace (“Dio disse: sia la luce. E la luce fu”) e la sua azione infallibile. Per questo la Liturgia si presenta come la più grande forma di profezia: una profezia divina e quindi performante, nella quale Dio veramente porta a compimento la salvezza dell’uomo, la opera nell’azione liturgica. In questo senso il mio invito ad “entrare” nell’Apocalisse è un invito ad entrare nella salvezza e quindi ad entrare nella

Liturgia, nel suo nucleo profondo ed efficace, senza fermarci alla sua scorza superficiale.

È solo dopo aver sperimentato sulla pelle l’azione salvifica di Cristo nella Liturgia che possiamo capire quale sia la forma che meglio la esprime nella Chiesa di oggi. Riguardo a questo, a mio parere, ci siamo soffermati troppo sulle disquisizioni circa le forme espressive, dando per scontato ciò che assolutamente non è: la comprensione dell’azione liturgica. Essa nell’Apocalisse è messa chiaramente in luce come la dinamica  della storia che corre incontro al Signore che sta per venire. Una storia in cui siamo chiamati ad ascoltare la Parola di Dio, a regolare su di essa la nostra vita, dando testimonianza di Gesù Cristo pronti, laddove si renda necessario, a dare testimonianza (martyrìa) con la nostra vita.

Perciò la Liturgia, azione diretta di Cristo sui cuori, sulle vite e quindi sul tempo è la più grande ed efficace profezia che sconvolge la storia. Non saremo noi a cambiarne il corso, ma Gesù Cristo attraverso di noi: “Chi fa affidamento sui carri e chi sui cavalli: noi invochiamo il nome del Signore, nostro Dio”; “Non vivo più io, ma Cristo vive in me”.

Le sfide da affrontare

Torniamo alle domande che ci siamo fatti all’inizio: siamo solo il prodotto di un comportamento sociale? Siamo destinati a essere parte del flusso della società nel tempo, magari dando un indirizzo positivo oppure possiamo, vivendo il Vangelo, avere un comportamento di distacco netto dal nostro tempo introducendo in qualche modo già l’eternità in questa vita? Dio solo lo sa! Quello che sappiamo è che Lui ci ha detto: “Sì, vengo presto!” (Ap 22,20). E anche che ce lo ha detto circa 1920 anni fa. Come mettiamo insieme queste due cose? S. Pietro (il nostro S. Pietro, il titolare della nostra Chiesa Cattedrale) ci ha detto: “Questo anzitutto dovete sapere: negli ultimi giorni si farà avanti gente che si inganna e inganna gli altri e che si lascia dominare dalle proprie passioni. Diranno: «Dov’è la sua venuta, che egli ha promesso?». […] Il Signore non ritarda nel compiere la sua promessa, anche se alcuni parlano di lentezza. Egli invece è magnanimo con voi, perché non vuole che alcuno si perda, ma che tutti abbiano modo di pentirsi. Il giorno del Signore verrà come un ladro. […] Perciò, carissimi, nell’attesa di questi eventi, fate di tutto perché Dio vi trovi in pace, senza colpa e senza macchia. La magnanimità del Signore nostro consideratela come salvezza”.

Per quanto sia molto difficile dare una risposta a questo bimillenario problema, possiamo certamente dire che Gesù desiderava che lo attendessimo come se stesse per venire oggi, senza abbassare la guardia in caso di ritardo: “Se quel servo dicesse in cuor suo «il mio padrone tarda a venire» e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli”.

È questo il tema delle sfide pastorali: di fronte ad un problema siamo chiamati soltanto a migliorare una cosa, con un sano realismo, o anche ad aggredire il problema come se dovesse essere sconfitto? Credo che la soluzione sia quest’ultima, ma tenendo fortemente presente che non siamo noi a cambiare le cose, ma è Cristo che lo fa accompagnando la nostra testimonianza con la sua grazia e la sua azione nella storia, come l’Evangelista Marco racconta in chiusura del suo Vangelo: “Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano”.

Parlare dunque di sfide pastorali da affrontare alla luce dell’Apocalisse sposta il nostro problema da una disquisizione puramente sociologica, teologica, psicologica, antropologica o quant’altro ad un piano in cui provochiamo Dio all’azione con la nostra preghiera liturgica. Sembra teoria, ma non lo è. È l’Apocalisse. È lo stile della Chiesa apostolica. Grande impressione mi ha fatto il nostro pellegrinaggio in Grecia dal 27 maggio al 2 giugno. Abbiamo seguito il secondo viaggio missionario di S. Paolo, quello che lo ha portato alla famosa esperienza di Atene e Corinto, che era oggetto della lettera pastorale dell’anno scorso. Prendo paradigmaticamente l’avventura vissuta da Paolo e Sila a Filippi: predicano il Vangelo (“Parola di Dio” per l’Apocalisse) per qualche giorno nella città. Poi, per una serie di situazioni neppure troppo lineari, c’è una sollevazione nei loro confronti e vengono portati nella piazza della città laddove gli anziani giudicavano i casi loro sottoposti. Proprio su quel lastricato su cui io mi trovavo in piedi hanno loro strappato di dosso i vestiti e li hanno bastonati. Dopodiché li hanno rinchiusi nel carcere non lontano da lì, appena al di là della via Ignazia che separava il cuore della città dalla zona del maestoso tempio di Apollo. Erano in catene, pesti e malconci, feriti, chiusi in una cella di un carcere, senza un ragionevole motivo. Che fanno? A mezzanotte li troviamo a cantare le lodi di Dio: questo fanno! E sono talmente convinti che i prigionieri anziché zittirli, dal momento che disturbavano il sonno nel cuore della notte, stavano ad ascoltarli (“testimonianza” per l’Apocalisse).

E qui interviene Dio: “D’improvviso venne un terremoto così forte che furono scosse le fondamenta della prigione; subito si aprirono tutte le porte e caddero le catene di tutti”. Qui si inserisce Dio e ne scaturisce la predicazione a tutta la famiglia del carceriere con il relativo battesimo.

Un altro esempio che mi ha toccato personalmente: il cammino di S. Marco. Sono partito afflitto da tante preoccupazioni per la nostra diocesi e per situazioni molto delicate. Mi sentivo svuotato e rattristato. Mi sono detto: mettiamo nelle mani di Dio tutte queste cose e le affidiamo all’intercessione di S. Marco. La soluzione dei problemi è stata la grazia che ho chiesto a Dio per il Cammino. Questo atteggiamento interiore mi ha fatto un gran bene perché ha ricollocato quelle difficoltà nella loro giusta dimensione, una dimensione apocalittica, in fondo: nella vita ci sono dei problemi e il male si affronta con il bene. Il nostro combattere non ha semplicemente lo scopo di vincere, ma di annunciare la Parola di Dio e testimoniare Gesù Cristo, l’Agnello immolato e risorto. Questo mi ha tolto tanti crucci. E quando il cammino si faceva più duro diventava offerta, trovando un senso. Tornando a casa ho constatato che qualcosa era stato risolto, ma non da me e contro ogni mia umana speranza.

“Entrare” nell’Apocalisse significa guardare in modo diverso alle nostre sfide pastorali: con uno sguardo più verticale, nel quale ci preoccupiamo meno di trovare la soluzione noi (quasi che lui non potesse agire se non esclusivamente attraverso la nostra azione) e un po’ di più di chiederla a Dio.

Proviamo ad elencare alcune sfide, cominciando da quelle emerse dall’Assemblea Diocesana: a titolo esemplificativo ne affronterò una cercando di leggerla alla luce dell’Apocalisse. Le altre sfide le affido alla comunità diocesana e alle singole comunità parrocchiali od elettive.

L’Assemblea Diocesana

Dalla nostra Assemblea Diocesana sono emerse diverse sfide per l’anno pastorale che si apre e per il futuro. Non sono in un ordine specifico: Le lascio come riflessione alle comunità. Poniamo particolare attenzione su di esse cercando di focalizzare delle priorità all’inizio dell’anno pastorale nei relativi consigli pastorali.

  1. Trasformazione missionaria della Chiesa
  2. Percorso artistico su madonne e crocifissi
  3. Comprendere la liturgia
  4. Fragilità affettive ed educazione all’amore
  5. Giovani e dopo cresima
  6. Rapporto parrocchia e famiglie
  7. Senso cristiano della domenica
  8. Pastorale del tempo libero
  9. Sport come strumento educativo
  10. Accoglienza: conversione pastorale
  11. Abitare il territorio come comunità
  12. Cultura accoglienza e incontro
  13. Accompagnamento e sostegno fragilità
  14. Comunicare il “Bene”
  15. Collaborazioni con il territorio

Alle sfide venute fuori dall’Assemblea Diocesana vorrei affiancarne alcune altre:

  1. La grande sfida della comunione
  2. Il numero di pastori a fronte del numero di parrocchie e incarichi pastorali
  3. La sostenibilità economica delle nostre comunità
  4. La Pastorale Giovanile dopo il Sinodo
  5. Le vocazioni alla vita sacerdotale e consacrata
  6. L’uso dei mezzi di comunicazione sociale
Un esempio di approccio secondo l’Apocalisse

Vorrei, a titolo esemplificativo, analizzare il tema del numero dei pastori a fronte del numero di parrocchie e incarichi pastorali.

Primo passaggio: leggo la sezione delle lettere alle chiese e mi domando cosa abbiano a che vedere con la mia situazione. Trovo alcuni spunti:

  1. È Cristo stesso che cammina in mezzo alle sue chiese e tiene i loro pastori nella mano destra: io, parroco, non devo temere nulla perché sono custodito da Dio. Io, parrocchiano, devo ricordare che il pastore è nelle mani di Dio e devo tenerlo in gran conto: stiamo forse sottovalutando l’importanza dei pastori? Li apprezziamo veramente per quello che sono? La nostra comunità ha stima dei pastori?
  2. Lettera alla Chiesa di Efeso. Io, parroco, fatico con le mie parrocchie, ho perseverato, ma forse ho abbandonato il mio primo amore (la preghiera? L’attenzione preminente a Dio piuttosto che a cose umane? Il servizio ai poveri? Ai giovani?). Da questo forse dipende il sopravvivere delle nostre comunità parrocchiali (“toglierò il tuo candelabro dal suo posto”, Ap 2,5). Abbiamo il coraggio di porci di fronte a domande scomode, come per esempio: siamo ridotti al lumicino perché abbiamo sbagliato molto? Abbiamo perso il centro, il cuore, l’antico amore?
  3. Lettera alla Chiesa di Pergamo. Nella mia comunità abbiamo dei problemi perché seguiamo dottrine di Balak o dei Nicolaiti? Fuori dell’immagine: stiamo seguendo la vera dottrina della Chiesa o le andiamo contro in alcuni punti? (Esiste un Catechismo della Chiesa Cattolica su cui controllare).
  4. Lettera alla Chiesa di Sardi. Ti si crede vivo e invece sei morto. Tante nostre realtà sono così: vanno avanti perché siamo bravi, siamo capaci, abbiamo in mano la tecnica, ma non convincono altre persone, non attirano. In realtà, nonostante quello che facciamo, siamo già morti. Bisogna ricordarsi come abbiamo ricevuto la Parola, custodirla e convertirsi. Forse le nostre parrocchie si sono ancorate ad uno schema pastorale più che alla Parola di Dio? Forse non riusciamo a riguardare la realtà alla luce della Parola di Dio? L’impostazione pastorale sta forse diventando una gabbia nella quale non riusciamo più a trasmettere l’anima dell’incontro con Cristo?
  5. Lettera alla Chiesa di Laodicea. La tiepidezza, quale grande malattia! Forse siamo troppo tiepidi. Forse dobbiamo ripartire, come in un corteggiamento, a cercare Dio. Forse dobbiamo pregare di più. Quali sono i beni che ci hanno allontanato dal Signore? Per Laodicea erano i proventi dell’oro, di un collirio famoso e della produzione di vestiti. Cosa ci distoglie dall’amore di Dio? In cosa impieghiamo le energie? Facciamo una pastorale senza Dio, fatta di attività senza il vero Incontro?

Secondo passaggio: leggo la parte su ciò che deve accadere.

  1. La nostra comunità loda e adora abbastanza il Signore? Se è la Liturgia quella che fa discendere la forza nella storia, viviamo questo passaggio in modo magico (basta esserci) o esplicito (la mia partecipazione è profonda e mi plasma il cuore)? Sappiamo amare quando moriamo, aprendo così la porta a fare delle nostre morti delle risurrezioni oppure di fronte al fallimento o ai problemi siamo stizziti, nervosi?
  2. Riusciamo a collegare i problemi con la liturgia e la preghiera dando testimonianza di Gesù Cristo?

Credo che questa immediata esemplificazione ci possa offrire degli spunti per “entrare” nell’Apocalisse. Sicuramente il passaggio più difficile è il secondo.

Conclusione

Affido alla Madonna della Salve, nostra celeste patrona, questa lettera. Lei che è immagine e modello della Chiesa, lei che sotto la croce è stata chiamata donna, lei che è la donna vestita di sole dell’Apocalisse, ci accompagni nel nostro cammino come Chiesa e ci introduca nel vero spirito della lettura del libro della Rivelazione di Gesù Cristo per affrettare la venuta. Marana tha. Vieni Signore Gesù. Amen

+ Guido Gallese

Vescovo di Alessandria

Notes:

  1. Ugo Vanni, Apocalisse di Giovanni, vol. 2, Cittadella Editrice 2018, p. 48. D’ora in poi abbreviato: “Vanni 2, p. 48”.
  2.  
  3. cfr Ap 6,2 
  4. cfr Ap 19,16 
  5. cfr Ap 5,5 
  6. cfr Ap 5,6.8.12.13; 6,1.3.5.7.9.12.16; 7,9.10.14.17; 8,1; 12,11; 13,8.11; 14,1.4.10;15,3; 17,14; 19,7.9; 21,9.14.22.23.27; 22,1.3 
  7. cfr Ap 19,11 
  8. cfr Ap 19,13 
  9. Omelia sul Vangelo di Luca (4,31-37), Cremia, Chiesa di S. Vito, 3 settembre 2019. 
  10. Cfr Ap 2,7 
  11. Ap 19,9 
  12. 1 Tess 5,18