Omelia Sant’Antonio Abate

Celebrazione di Sant’Antonio, abate Ospedale Civile – Alessandria
Carissimi fratelli e sorelle la liturgia di S. Antonio abate ci ricorda alcune caratteristiche di questo santo. S. Antonio è stato una figura molto forte sia per il monachesimo che si è sviluppato in Oriente, sia per i laici che ricorrevano a lui, e che trovavano in lui e in tutti quelli che hanno seguito il suo stile di vita, delle guide per la loro vita spirituale. Una delle cose che mi ha più colpito, conoscendo le prime volte i monasteri di clausura, è che avevo l’impressione che le monache fossero le più aggiornate di tutti, che comprendessero i problemi meglio degli altri, che capissero la vita meglio degli altri. E questo per noi è assurdo, perché ai nostri occhi, queste persone si sono tirate fuori dalla vita. Ma non è così. Questa è l’apparenza che abbiamo, ma nel cuore delle monache, scegliere quel tipo di vita, è per entrare più in profondità nella vita, perché la vita attiva è ai loro occhi troppo poco efficace. Pensate che per le monache noi siamo dei “nullafacenti”, non lo pensano ovviamente, ma hanno fatto quella scelta perché volevano essere più efficaci. Ne parlo con cognizione di causa, ho appena accompagnato una figlia spirituale alla clausura; una ragazza di 25 anni, vivacissima, estremamente brava con i poveri, il miglior talento di evangelizzazione che io non abbia mai visto, è entrata in clausura. Le ho prospettato tante altre possibilità, ma questa non quietava ed è entrata in monastero perché era sicura che con la preghiera poteva fare di più. La stessa S. Teresina del Bambin Gesù, nella sua “Storia di un’anima” dice che avrebbe voluto andare in giro ad evangelizzare, che avrebbe voluto dare la vita per il Signore morendo martire; sentiva in sé la vocazione del martire, ma un solo martirio non le sarebbe bastato e avrebbe voluto poter subire tutti i martìri dell’universo. Ricordiamo che S. Teresa del Bambin Gesù è patrona delle missioni insieme a S. Francesco Saverio, e alla fine di tutti questi aneliti, scrive: “Ho capito che nel corpo di Cristo che è la Chiesa, il mio posto sarà nel cuore; nella Chiesa io sarò l’amore, così potrò essere dappertutto”. Allora anche quando noi contempliamo la figura di S. Antonio monaco, non dobbiamo pensare a quest’uomo come un burbero essere asociale, incapace di vita con gli altri: “Mi tolgo dai problemi in questa società e in questo mondo, e vado dall’unico che mi capisce, il Signore”. Non è così, non è stato questo il suo percorso psicologico. Queste persone entrano nel cuore della vita, anzi vi dirò di più: sono persone che hanno il coraggio di andare a cercare Dio. Coraggio che a volte ci difetta; noi lo cerchiamo e lo incrociamo soltanto in alcuni momenti della nostra vita e delle nostre giornate, ma non è così semplice cercare Dio di persona. Amo, per gli esercizi spirituali, andare in un monastero con i monaci che sono i professionisti della preghiera; una comunità che prega è una forza incredibile, vita comune e preghiera sono una forza della vita spirituale. Quando ero viceparroco ero andato a fare un ritiro in un monastero sul lago di Garda, una settimana di silenzio e di preghiera; mi accompagna un laico, un padre di famiglia che voleva condividere una settimana di preghiera; aveva fatto dei cammini di preghiera, era rimasto molto colpito e molto trasformato, ed aveva intravisto che la preghiera lo avrebbe cambiato. Al termine del primo giorno, uscendo dalla cappella, tira fuori di tasca le chiavi della macchina, me le dà in mano e dice: “Prendile, io non torno più”. Gli dico: “E tua moglie?”. “Trova qualche scusa, dille qualcosa”. Ci siamo fatti una bella risata e abbiamo continuato. L’ultimo giorno, alla partenza, gli dico: “Allora ti lascio qua?”. E lui mi fa: “No, no, torno indietro anch’io”. “Come mai hai cambiato idea?”. “Ho capito che il muro della preghiera non è così facile da affrontare tutti i giorni”. L’incontro con Dio, il silenzio, non è facile da affrontare, eppure è qualcosa di forte. Cari fratelli e sorelle, quando l’apostolo ci dice: “In ogni occasione pregate con ogni sorta di preghiera e di suppliche nello spirito, e, a questo scopo, vegliate con ogni perseveranza e supplica per tutti i santi”, non lo sta dicendo a S. Antonio o alle monache di clausura, ma agli abitanti di Efeso, una normale città secolarizzata come le nostre città, forse anche di più. Il mio invito è quello di pregare e di intercedere per mettersi di fronte a Dio e incontrarlo; certo tutti noi lo vogliamo fare, se, infatti, io interrogassi uno ad uno ciascuno di voi e vi chiedessi: “Ma tu vuoi incontrare Dio?”. Tutti mi direste di “sì”. Ma poi quando vedete gli occhi di Gesù piantati dentro i vostri occhi, quando quegli occhi di Gesù stanno scrutando il vostro cuore, e Gesù vi dice: “Vieni, seguimi”, non so quanti sono disposti a rispondere: “Sto veramente cercando Dio”. Se stessimo veramente cercando Dio gli risponderemmo: “Sì, certo Signore”. Ma la nostra storia dice che non sempre abbiamo questa forza, perché forse non lo stiamo cercando in pienezza. Perché faccio questo discorso? Carissimi fratelli e sorelle, l’ospedale è il luogo delle domande radicali sulla vita, sul senso; è il luogo dell’incontro con il dolore e con la morte, è il luogo in cui Dio ha un suo ruolo netto. Non dovrebbe essere l’unico luogo in cui ci poniamo le domande su Dio, anche se poi sappiamo bene che non è facile porsele nella quotidianità. Però è un luogo che ha una sua connotazione stranissima; le persone più sensibili hanno dei problemi anche fisici ad entrare nell’ospedale per la quantità di dolore che si percepisce, ma anche per la quantità di cose strane e di sconvolgimenti di vita, anche positivi, che vi accadono. Il succo è che dovremmo imparare a cercare Dio, come S. Antonio, con coraggio con forza, con decisione. Metterci di fronte a Dio perché il suo mistero dà il senso della nostra vita, non dobbiamo scappare ma metterci di fronte alla verità di questo mistero di Dio e della vita. Pochi giorni fa è morto un seminarista, in un incidente mentre veniva in seminario; un seminarista della diocesi di Acqui e che frequentava il nostro seminario interdiocesano. Si chiamava Marco, aveva 23 anni, lo ricordiamo al Signore; dicevo ai seminaristi, ai suoi compagni che vivevano con lui tutti i giorni: “Di fronte a queste domande che cominciano a gridare nel nostro cuore in questi momenti di dolore, dobbiamo avere il coraggio di affrontarle e di rispondere schiettamente”. L’ospedale è il luogo in cui si ha il coraggio di farlo, perché si è in una situazione in cui riusciamo a valutare la vita in modo più essenziale, rispetto a quando abbiamo tutte le nostre cose, il nostro tram tram, il nostro benessere assoluto o relativo. L’invito che vi faccio è proprio questo: lasciatevi prendere dall’incontro con Dio, fissate gli occhi nel Signore, non abbiate paura, perché tutte le volte che noi abbiamo il coraggio di fissare gli occhi su Dio, il Signore risponde e dà senso ai nostri cuori e alle nostre vite e ci rende felici, veramente felici. S. Antonio non ha fatto la vita da triste, infatti tutti accorrevano a lui come al miele; fosse stato una persona triste nessuno lo avrebbe cercato, tutti accorrevano a lui. Le monache sono persone felici, andate a vederle; c’è un Carmelo a Valmadonna, fate l’esperimento, andate a vedere che razza di donne sono. Quando vi portavo i giovani, mi divertivo moltissimo poiché mi mettevo a fianco della grata, e li guardavo. Questi arrivavano come ad uno zoo, la gabbia e l’animale dentro; rimanevano colpiti dagli occhi di gioia e di pace che incontravano dietro quelle sbarre, occhi che difficilmente incontriamo nella nostra vita di tutti i giorni. Lasciatevi incontrare dallo sguardo del Signore, abbiate il coraggio, state fissi su Gesù. Questo è l’invito che vi faccio: non è un invito che faccio a voi come se io lo avessi risolto e fossi libero da ogni pensiero e problema; ho iniziato questa eucaristia dicendo al Signore: “Signore cerco te, come Antonio ha cercato te, anch’io cerco te. Signore ti sto cercando”. Ora tutto questo lo trovo attraverso di voi, attraverso il vostro amore, i vostri slanci, le vostre generosità, il vostro riflettere l’esperienza di Dio. Questo cammino è comune, insieme, pastori e popolo di Dio, siamo una sola Chiesa, siamo Chiesa e lo siamo in questo modo. Termino augurandoci che sappiamo sempre cercare il Signore e sappiamo sostenere il suo sguardo e dirgli il nostro gioioso “sì”.
Sia lodato Gesù Cristo.