Omelia domenica delle Palme

Domenica delle Palme
Is 50, 4-7; Fil 2, 6-11; Mt 26,14 – 27,66
Carissimi fratelli e sorelle, sopra la porta della Cattedrale c’è il mio stemma sul quale c’è raffigurato un animale; osservazione, gioco di Kim: che animale c’è? Un gallo. Questo animale l’ho preso perché mio nonno aveva ricostruito le origini genealogiche della nostra famiglia, aveva fuso un anello con lo stemma della famiglia e vi aveva collocato un gallo al centro; ecco perché mi chiamo Gallese, semplicemente così. Quando si è trattato di disegnare lo stemma da Vescovo, ho pensato di riprendere il gallo richiamandomi anche al famoso brano di vangelo che abbiamo ascoltato oggi: il gallo che canta. Non ci avrete fatto caso, ma nello stemma c’è una lacrima, una piccola lacrima sopra il gallo che ricorda proprio il pianto di Pietro dopo che aveva rinnegato Gesù. Carissimi fratelli e sorelle, noi abbiamo delle sofferenze nella vita, le abbiamo anche da giovani, magari non ce ne rendiamo conto, poi col passare degli anni ne diventiamo coscienti. Tutti abbiamo delle sofferenze, e qual è il nostro modo tipico e istintivo per difenderci da queste? Istintivamente, per difenderci da una sofferenza, noi alziamo un muro perché quando sentiamo che una cosa ci colpisce e ci ferisce, per difenderci alziamo un muro: è la nostra reazione primitiva, lo scudo e il muro di difesa. Ma non ci rendiamo conto che quel muro, che riesce a difenderci da una sofferenza che ci viene dall’esterno, diventa però anche un ostacolo al nostro uscire fuori; e così, con l’andare degli anni e dei decenni, finiamo isolati, in un luogo che ci siamo costruiti, una specie di prigione che non riesce a risolvere i nostri veri problemi e che solo diminuisce le sofferenze senza eliminarle. Questo è il dramma di Pietro che risolve la sua situazione con Gesù; Giuda arriva alla disperazione, mentre Pietro si lascia recuperare da Gesù. C’è un modo diverso di vivere la vita, un modo in cui, in questa terra non in paradiso, abbiamo la possibilità di riacquistare la pace, la gioia interiore e la felicità. Tutto questo grazie a Gesù. È per questo che siamo qua, solo che per fare questo, Gesù ha predisposto che noi ci serviamo di qualche cosa di spirituale: Gesù ci ha dato degli strumenti spirituali che, come tali, non vediamo. Facciamo un esempio: l’eucaristia la vediamo? Vediamo l’ostia. Il battesimo lo vediamo? Sono stato recentemente ad un battesimo di un mio nipote: ho visto versare dell’acqua sulla testa, ma non ho visto l’anima di quel bambino diventare figlia di Dio; questo non l’ha visto nessuno. Gesù ci ha dato degli strumenti spirituali, il problema è che questi strumenti non li vediamo. Come facciamo? La soluzione è farci aiutare in modo tale che tra tutti riusciamo a vederli. Ieri sera siamo stati con un gruppo di giovani in una comunità di recupero di tossicodipendenti di stampo cattolico; una ragazza, che fa l’assistente sociale, dopo un po’ di condivisione tra noi alla fine ha detto: “Noi cerchiamo di aiutare la gente, di recuperare la gente che finisce nella droga e per farlo studiamo come risparmiare soldi perché è un costo sociale, ma spendiamo sempre migliaia e migliaia di euro; in questa comunità il costo sociale è zero perché vivono di provvidenza; la percentuale di recupero è più alta della media, e quando si arriva trovi un ambiente ben diverso da quello che si trova di solito, è molto più umano e caldo”. Mi ha fatto impressione di come questa ragazza, facendo un’analisi professionale, dicesse: “Certo che Dio è anche conveniente; funziona ed è conveniente. Ma perché non seguiamo questo Gesù?”. Sapete perché non lo seguiamo? Perché a furia di costruire muri, non abbiamo il coraggio di entrare in relazione con i nostri fratelli. Dio mette la nostra salvezza nelle mani di altri, Dio dà alla comunità i doni per salvarla tutta, ma se non ci si apre agli altri e si tiene i doni per sé è finita, non si va da nessuna parte; perdiamo la salvezza, con la salvezza perdiamo la felicità, la pace, perdiamo la possibilità di vivere gioiosamente e felicemente già quaggiù in questa vita. Cari fratelli e sorelle, per definizione la vita spirituale è qualche cosa di invisibile, o abbiamo il coraggio di aiutarci e allora si instaurano delle dinamiche positive che sono di stimolo a tutti, oppure siamo destinati a vivacchiare riparando i nostri muri quando c’è qualche breccia, e vivendo sostanzialmente in una solitudine interiore che non ci può mai dare la felicità vera, ma soltanto dei momenti di sollievo, ma non è quello che cerchiamo. In questa quaresima ho fatto tre cammini di preghiera: uno con i giovani, uno con le famiglia e uno con i carcerati. In tutti e tre i gruppi, facendo una condivisione alla settimana, sono uscite fuori delle cose bellissime e si vedeva chiaramente che gli uni, con la propria esperienza, aiutavano gli altri, erano di stimolo e si sono visti dei progressi notevoli in molte persone durante questa quaresima. Altra riprova: cari fratelli e sorelle dobbiamo essere Chiesa; Chiesa vuol dire comunità, se non lo siamo perdiamo il tesoro che Gesù ci ha guadagnato morendo in croce per noi. Siate Chiesa, siate cristiani, siate persone che camminano insieme e si aiutano insieme: guadagneremo dal punto di vista spirituale e anche da quello materiale. La Vergine Maria, nostra Signora della Salve, ci accompagni e ci aiuti adesso in questa celebrazione per essere realmente Chiesa.
Sia lodato Gesù Cristo.