Omelia Giovedì Santo

Giovedì santo – Cena del Signore
Es 12, 1-8.11-14; 1Cor 11, 23-26; Gv 13, 1-15
Carissimi fratelli e sorelle, abbiamo ascoltato nella liturgia della parola S. Paolo che ricorda l’istituzione del sacramento dell’eucaristia; è la prima lettera ai Corinzi: Io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: ‘Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me’. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: ‘Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me’. San Paolo ricorda l’istituzione dell’eucaristia che nella comunità diventa il centro, non solo delle celebrazioni, ma di tutta la vita cristiana. Questa è una lezione del Concilio Vaticano II che ancora non abbiamo interiorizzato; nel Concilio Vaticano II, nella Sacrosanctum Concilium, si dice che la liturgia è “fonte e culmine di tutta la vita cristiana” e che “ogni azione pastorale ha come fine quello di ritrovarci insieme a celebrare la lode di Dio”. La celebrazione della liturgia è l’obiettivo di tutta l’azione pastorale della Chiesa, non è quello che potremmo pensare istintivamente, perché facciamo fatica a capire cosa è la liturgia; pensiamo, infatti, alla liturgia come un rito – tecnicamente parlando, da un punto di vita della filosofia della religione, è un rito – ma lo vediamo in termini procedurali: una serie di cose che facciamo in un contesto particolare, quasi come se avesse un significato un po’ vuoto. Ma non è così, la liturgia è presenza di Cristo che passa a santificare, a guarire, a rafforzare il suo popolo; questa è la liturgia: è la presenza di Cristo. La presenza più forte di Cristo su questa terra l’abbiamo nella liturgia, per questo è importante; non veniamo qui ad assistere a un rito – quanto abbiamo ancora da imparare per assimilare la riforma liturgica – ma a partecipare ad un qualcosa di estremamente grande e profondo e che non ha semplicemente un valore di ricordo e di memoria. Ricordiamo, ad esempio, una strage fatta dai nazisti alla fine della seconda guerra mondiale, questo è un ricordo che serve per cercare di non ripetere certi errori. Quando celebriamo la liturgia, non è semplicemente un ricordare che Gesù è morto per noi così che anche noi impariamo a dare la vita per gli altri; è molto, molto di più. Nella liturgia l’evento della croce attua la sua potenza nella nostra vita. Gesù ci ha salvato morendo in croce per noi, e, la sera prima, ha voluto legare questa sua morte ad un rito che, quando noi lo celebriamo, realizza e rende presente la sua morte in croce con il suo amore salvifico. Gesù ci ha salvati tutti, ma questa salvezza non arriva addosso ad ogni essere umano senza una mediazione o senza una nostra scelta a priori; Gesù ha messo la sua parte. ma anche noi dobbiamo metterci di fronte a Dio, implorarne la salvezza ed essere santificati dal Signore che ci fa arrivare la grazia della redenzione ricevendo il sacramento dell’eucaristia che è il corpo di Gesù. Gesù infatti ha detto: “Questo è il mio corpo”; non ha detto: “Significa il mio corpo”, oppure: “Sembra il mio corpo”, o ancora: “È il simbolo del mio corpo”; ma ha detto: “Questo è il mio corpo che è offerto in sacrificio per voi”. Secondo le antiche regole del sacrificio – siamo alla prima lettura, l’Esodo – il sacrifico funzionava in questo modo: veniva offerto un dono a Dio, e questo dono, di cui si mangiava in parte e in parte veniva bruciato perché salisse a Dio, rappresentava la nostra comunione con Dio. Nell’eucaristia Gesù, il Figlio di Dio fatto uomo, offre se stesso in dono, e noi attraverso la comunione entriamo in relazione profonda con Dio, con un Dio che si è fatto nostro cibo, con Dio che ci ha unito a sé in un modo il più intimo possibile. Ecco cari fratelli e sorelle la grandezza dell’eucaristia, una grandezza infinita. Quanto sarebbe bello se comprendessimo tutto questo, se riuscissimo ad afferrare che quello che avviene adesso, in questa celebrazione, non è un semplice ricordo, ma il realizzarsi, nella mia vita personale, la redenzione, cioè il riscatto dalla schiavitù del mio peccato. Gesù Cristo ci dona l’eucaristia perché possiamo essere in comunione profonda con il Padre; e questa comunione si realizza proprio attraverso il sacramento che è efficace e che ci rende capaci di agire come Gesù; diversamente saremmo morti, finiti. Non abbiamo la possibilità di imitare Gesù; ma come ci può venire in mente di imitare Gesù Cristo figlio di Dio fatto uomo? Ma siamo pazzi? È impossibile imitarlo, è il figlio di Dio fatto uomo, non abbiamo le risorse, le forze, le capacità la struttura per imitare in modo significativo Gesù. Ma per lui non si tratta di mera imitazione o di sforzarci di fare come ha fatto Gesù: è qualcosa di più grande; l’eucaristia ci rende capaci di quell’amore con lo stesso Gesù aveva: ecco il mistero. Un esempio a noi vicino: tutti noi possiamo amare come Madre Teresa di Calcutta? Non crediate di esserne in grado, poiché questo è contro il nostro concetto di santità, perché madre Teresa stessa non amava con il suo amore personale, ma amava con l’amore di Dio; noi cristiani, infatti, imbrogliamo perché amiamo con un amore che non è nostro. Ecco il segno di Gesù: l’eucaristia è essere disposti ad amare, e ci viene dato Gesù Cristo stesso perché noi impariamo ad amare. Tutti le volte che noi serviamo i nostri fratelli, dovremmo essere in contatto con l’eucaristia; madre Teresa di Calcutta, infatti, non permetteva alle sue suore di andare a fare servizi ai poveri se prima non avevano fatto l’adorazione eucaristia; e se una l’aveva saltata per una qualsiasi ragione, le diceva: “Noi andiamo a fare servizio ai poveri, ma tu resta pure qua, stai davanti al Signore in adorazione e prega per noi, perché se tu non hai fatto adorazione porti te stessa non Gesù”. Ecco la convinzione di Madre Teresa, ecco il suo segreto e ne era convinta di questo. Cari fratelli e sorelle, la vita cristiana è questo sgorgare gioioso dell’amore di Gesù verso i fratelli, un amore che dobbiamo per prima cosa ricevere. Questa è la madre delle celebrazioni eucaristiche perché quella in cui proprio ricordiamo l’istituzione dell’eucaristia; ed è collegata al servizio, così Giovanni ha voluto. Abbiamo sentito nel Vangelo Gesù che lava i piedi; Giovanni non mette l’istituzione dell’eucaristia che era già negli altri tre vangeli, i Sinottici, perché vuole sottolineare il significato dell’eucaristia che è l’amore radicale, ecco perché si lavano i piedi. Quando lavo i piedi trovo sempre più difficoltà, da Vescovo poi ancora di più perché mi sento dire: “Non può lavarmi i piedi”. Gesù dice a Pietro: “Guarda che se non ti lavo i piedi, io e te non abbiamo nulla a che vedere, non avrai parte con me”. E Pietro: “Signore non solo i piedi ma anche il capo e tutto il corpo”. Ecco cari fratelli e sorelle, questo è il servizio; a noi sembra un po’ strano, un po’ lontano, ma questo essere disposti a farci servi dei fratelli è la cosa più grande, il dono più grande che Gesù ci ha lasciato in questo mondo, perché frutto diretto dell’eucaristia che è la presenza più grande di Cristo nel mondo. La Vergine Maria, nostra Vergine della Salve, nostra amatissima patrona, ci dia la capacità e il coraggio di cercare sempre Gesù nella nostra vita, soprattutto nell’eucaristia per amare, ricevere il suo amore e riversarlo sui nostri fratelli: così accada perché le nostra comunione abbiano senso e frutto.
Sia lodato Gesù Cristo.