Pellegrinaggio alla Salve
Alessandria Centro e Orba
At 7, 51 – 8, 1; Gv 6, 30-35
Carissimi fratelli e sorelle, sono contento di celebrare questa eucaristia con voi e, in modo particolare, con coloro che vengono dalla Zona Centro e Orba. In queste sere sto cercando di svolgere una riflessione sulla Madonna della Salve e su quello che il Papa ci dice nella Evangelii Gaudium, ovviamente partendo dalla parola di Dio. La nostra Madonna non è la mamma di una serie di cadaveri ma di gente viva, di gente che ama e che, illuminata e animata dal vangelo, vive la vita cristiana in un modo intenso e profondo; solo che noi abbiamo qualche problema. S. Stefano, di cui abbiamo ascoltato il martirio, viene ucciso. Quando sentiamo queste cose ci viene istintivamente da toccare ferro o fare strani gesti di scongiuro a seconda delle nostre fantasie perché uno pensa: “Ecco questa vita cristiana! Bisogna proprio morire. Che peso!”. Ed è forse l’incubo che abbiamo tutti. Un po’ tutti la pensiamo così, e non ci schiodiamo da questa visione di cristianesimo, e ci infliggiamo ogni genere di mortificazioni del tutto gratuite, e poiché non sono fatte con spirito religioso risultano inutili. E questo è un aggravante perché ci infliggiamo delle mortificazioni inutili, per puro spirito masochistico, quasi credendo che cristianesimo e masochismo in fondo siano parenti. Sembra quasi che ogni cosa che è bella e buona nella vita sia vietata proprio perché buona e bella. Non è questa la visione del Signore; egli, infatti, ci invita scegliere le cose buone e belle del livello più alto, non a respingerle come demoniache. Queste vanno bene nella misura in cui non intralciano la ricerca delle cose buone e belle di livello più alto. Anche la visone della morte e del martirio; S. Stefano viene preso a pietrate e muore. Subito noi ci immaginiamo la scena e pensiamo: “Ma se succedesse a me di essere preso a pietrate e mi uccidessero, che roba terribile”. E infatti lo è, ma non pensiamo a tutto il resto che ci viene descritto da questa pagina degli Atti degli Apostoli: “Stefano pieno di Spirito Santo, fissando il cielo vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla destra di Dio e disse: Ecco contemplo i cieli aperti; il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio”. Che vuol dire? Vuol dire che Stefano in quel momento stava sperimentando una estasi, Stefano è morto in estasi. Che cosa è una estasi? Letteralmente vuol dire: stare fuori di sé, uscire da sé, incontrare Dio in un modo profondo, profondissimo, dolcissimo, fortissimo: una anticipazione del paradiso. Chi prova un’estasi gli viene una tale voglia di riprovarla che a volte non vede l’ora di morire. A me questo fa effetto, ma è documentato. S. Teresa d’Avila, che viveva tante estasi, scrive una poesia che si intitola “Desiderio del cielo” in cui dice: “Vivo ma in me non vivo e tanto è ben che dopo morte imploro che mi sento morir, perché non moro”. S. Teresa d’Avila scrive: “Io vivo ma non vivo più in me stessa; e il bene che io imploro dopo la morte è così grande che solo al pensiero mi sento morire perché non sono ancora morta”. E in alcuni versetti sotto dice: “Morte, orsù dunque affrettati! Scocca il tuo dardo d’oro! Mòro perché non mòro”. “Dai morte sbrigati, che fai, indugi? Mi lasci ancora qua con quel bene incredibile da raggiungere, devo aspettare?”. La Santa interpretava l’attesa come una penitenza. È una prospettiva differente. Anche S. Paolo dice: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me”. E in altro punto: “Per me vivere è Cristo, morire è un guadagno”. Non ci viene spontaneo dire queste cose, ma i Santi dicono questo perché hanno una grazia di Dio; S. Stefano, mentre affronta la morte, sperimenta questa grazia del Signore, e questa è un’estasi che gli coglie il cuore, e lo fa infiammare d’amore così tanto che reagisce come Gesù. Non fa uno sforzo per assomigliare a Gesù, gli viene naturale: vede Gesù e dice: “Signore Gesù accogli il mio spirito”. “Signore non imputare loro questo peccato”; è così tanto acceso dell’amore che ama anche coloro che lo stanno lapidando e non vuole che finiscano all’inferno. “Signore Gesù, non imputare loro questo peccato”, lo detto anche Gesù sulla croce. È l’amore che ci fa dire queste cose. Non pensiamo al martirio come ad una esperienza solitaria e senza Dio: “Io solo che devo affrontare questa prova titanica”. Questo fa parte della letteratura ma non di quella cristiana. I cristiani hanno vissuto con fervore queste prove perché hanno vissuto l’amore del Signore. Nel vangelo iniziando il discorso del pane di vita Gesù dice: “Io sono il pane della vita e chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai”. Gesù ci sta dicendo: “Seguire me e venire a me vuol dire sfamarsi, dissetarsi; ti disseti così bene che non avrai sete, mai”. Questa è la sua proposta. Invece a noi sembra che per seguire Gesù dobbiamo essere una banda di affamati e di assetati, afflitti di ogni genere di privazioni; ma le nostre privazioni hanno ragione d’essere solo nella misura in cui gustiamo, assaporiamo, mangiamo la bellezza di seguire Gesù. È questa che ci sfama; non mettiamo al primo posto il cibo terreno, perché è Gesù che ci sfama, la fede in lui ci disseta. Se vivo di Gesù mi sfamo e se credo in Gesù mi disseto, il resto viene di conseguenza. Noi cristiani invece abbiamo buttato questo nocciolo; diceva nei giorni scorsi il Papa che le nostre parrocchie sono stanche, e questo perché abbiamo buttato via il nocciolo, il cuore, e teniamo in piedi le pratiche di penitenza. Quante volte facendo colazione al bar mi sono sentito dire: “Anche i preti fanno peccati”. Come se mangiare una brioche e bere un cappuccino fosse peccato. Non lo sapevo! Per fortuna sono venuti dei laici, spesso laicisti che hanno una morale molto più rigida della nostra, almeno sulla pelle degli altri, a spiegarmi che questo era peccato. Noi praticamente svuotiamo il cristianesimo del suo contenuto, dell’essenza, della bellezza, della gioia di questo incontro mantenendo tutte le pratiche; la messa allora diventata un peso: “Oggi mi tocca andare a messa perché è di precetto”. Terribile! Quando noi arriviamo a questi punti siamo dei cadaveri; ma Maria non è la madre di una serie di cadaveri. Il Papa ci dice nella Evangelii gaudium (82): “Il problema non sempre è l’eccesso di attività, ma soprattutto sono le attività vissute male, senza le motivazioni adeguate, senza una spiritualità che permei l’azione e la renda desiderabile”. Le nostre azioni e le attività che facciamo in una parrocchia dovrebbero essere desiderabili. “Da qui deriva che i doveri stanchino più di quanto sia ragionevole, e a volte facciano ammalare”. A volte ci fanno ammalare l’anima, non solo il corpo. Ma i doveri non ci devono stancare più di tanto nella vita spirituale; è chiaro che ogni cosa che facciamo ha un minimo di fatica, ma non più di tanto. “Non si tratta di una fatica serena, ma tesa, pesante, insoddisfatta e, in definitiva, non accettata”. “Così prende forma la più grande minaccia, che è il grigio pragmatismo della vita quotidiana della Chiesa, nel quale tutto apparentemente procede nella normalità, mentre in realtà la fede si va logorando e degenerando nella meschinità”. “Si sviluppa la psicologia della tomba, che poco a poco trasforma i cristiani in mummie da museo”. “Delusi dalla realtà, dalla Chiesa o da se stessi, vivono la costante tentazione di attaccarsi a una tristezza dolciastra, senza speranza, che si impadronisce del cuore come il più prezioso elisir del demonio”. “Chiamati ad illuminare e a comunicare vita, alla fine si lasciano affascinare da cose che generano solamente oscurità e stanchezza interiore, e che debilitano il dinamismo apostolico. Per tutto ciò mi permetto di insistere: non lasciamoci rubare la gioia dell’evangelizzazione!”. Ecco quello che ci dice Papa Francesco. Cari fratelli e sorelle, io vorrei che prendessimo sul serio questi inviti del Papa, ciò che ci dice la parola di Dio, il richiamo della nostra mamma e Patrona: dobbiamo dare una svolta alla nostra vita di fede, dobbiamo fare sul serio, e lo possiamo fare solo insieme perché se aspettiamo che il Signore illumini uno per uno tutte le nostre zucche e le nostre menti, non inizieremmo più; bisogna farlo insieme come comunità. Ripensate la vita della vostra comunità insieme al vostro parroco, fate un cammino serio di conversione pastorale, ridate vita alla vostra fede, riguardatela con gli occhi giusti e che non sia un pesante dovere perché la vita cristiana scaturisce dalla gioia di un incontro, dalla gioia dell’incontro con Cristo. È quello che auguro a tutti voi questa sera, in questa santa celebrazione, nella quale tanti cuori innamorati di Maria insieme la pregano. La Madonna ci aiuti ad incontrare Gesù in questa celebrazione dell’eucaristia; il Signore ci incendi con il suo amore, faccia ardere le nostre comunità perché tutti noi possiamo essere luce che risplende in questo mondo di tenebra e così triste. La Vergine Maria ci accompagni in questo cammino.
Sia lodato Gesù Cristo.