Pellegrinaggio Salve – Clero

Pellegrinaggio alla Salve
Clero
Carissimi confratelli
Gesù parla nel discorso del pane di vita di questo dinamismo: la persone possono arrivare a lui solo se attirate dal Padre. Per essere attirati dal Padre bisogna averlo ascoltato. “Chi crede ha la vita eterna”: è il ritornello che ritorna frequentemente nel discorso del pane di vita. “Io sono il pane della vita, io sono il pane vivo disceso dal cielo, se uno mangia di questo pane vivrà in terno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”. Carissimi confratelli questo ascoltare il Padre, questo ottenere il pane della vita che è Gesù, passa attraverso il nostro ministero, soprattutto attraverso l’eucaristia. Noi abbiamo il compito di spezzare il pane della parola e di spezzare il pane eucaristico; un compito grande, importante, un compito che ci fa capire quanto grande sia la nostra chiamata. A vote preferiamo non pensarci perché la nostra fragilità ci spaventa; ma di fronte alla grandezza della chiamata, la nostra fragilità non deve mai spaventarci perché se il Signore ci ha chiamato fa anche delle nostre fragilità un evento di grazia, l’evento dell’incontro con lui. Anzi, io credo che per certi versi, le nostre debolezze e le nostre fragilità, le nostre inconsistenze e i nostri difetti siano la via attraverso la quale il Signore può giungere a tanti fratelli, perché in questa via noi facciamo l’esperienza del passaggio dalla morte alla risurrezione. Quanto ci fanno male i nostri difetti! Difficile trovare una persona con cui ci sia più difficile vivere che con noi stessi, perché ci sono delle cose di noi che ci danno fastidio e non possiamo nasconderle; la nostra pochezza ci dà fastidio, i nostri limiti ci danno fastidio, eppure è proprio in questa nostra morte che si può manifestare la vita del Signore. Don Emilio concludeva la sua riflessione con noi poco fa dicendo: “Noi possiamo manifestare questa fede se siamo dei morti ritornati alla vita; morti ritornati alla vita”. Credo che per troppo tempo abbiamo cercato di presentare il sacerdote come una persona che ha già capito tutto, ha già passato tutto, è già arrivata, e, dall’alto del suo stato, dà ai fedeli i beni di Dio. Ma questo mortifica il nostro ministero presbiterale perché il Vangelo non gira in questo modo. Il Signore ha chiamato dei poveri pescatori, gente normale, non dei laureati nella teologia del tempo; ha chiamato a seguirlo persone che avevano tanti difetti, quelli di Pietro appaiono molto evidenti nel Vangelo e nonostante questi ha fondato la Chiesa su di lui. Ai discepoli solo dopo tre anni di ministero vissuti insieme ha detto: “Adesso continuate voi”. Confrontiamo il nostro atteggiamento e la nostra azione pastorale con queste scelte del Signore; siamo capaci di questa libertà, siamo capaci di dare ai nostri laici e collaboratori degli incarichi seri? Gesù ha avuto questo coraggio con noi. Io vi devo dire che vado maturando la convinzione, anzi ormai è certezza, che noi Vescovi stiamo sbagliando i criteri del reclutamento per i seminari. Se guardiamo, infatti, ai documenti sugli orientamenti e norme della formazione, riscontriamo che disegnano il quadro del presbitero con tutta una serie di virtù secondo le quali dovremmo spretarci tutti. Stiamo cercando dei bravi ragazzi, ma nel vangelo il bravo ragazzo è quello che ha girato le spalle al Signore e se ne è andato, colui che aveva osservato i comandamenti fin dalla giovinezza è lo stesso che se ne andato via triste incapace di donare la vita a Gesù e a scorgere il suo sguardo dell’amore. Viveva nelle sue certezze: osservanza dei comandamenti e star bene economicamente, eppure si sentiva ancora inquieto; chiede al maestro che cosa gli manca, perché evidentemente sente che ancora qualcosa gli manca, ma non il coraggio di fare il passaggio dell’affidamento a Gesù. Il bravo ragazzo è quello che se ne è andato. Il Papa nella Evangelii Gaudium ci dice che la Chiesa è fatta di discepoli che evangelizzano e che questi discepoli non sono perfetti, sono come sono, sono in cammino; è una Chiesa in cammino che evangelizza, non una Chiesa arrivata. È per questo che ritengo che il buon discernimento sulle vocazioni al presbiterato lo si fa quando chiamiamo persone che hanno fatto esperienza dei loro limiti e dei loro problemi e hanno saputo trovare in Gesù la loro salvezza e la forza. Queste persone, benché imperfette, sono credibili per l’annuncio del vangelo. A volte ho l’impressione che abbiamo paura di vedere che il Signore, ancora oggi, compie questo dinamismo della salvezza e della guarigione di persone di stati marginali. Eppure la Chiesa è incominciata in questo modo, l’abbiamo sentito nella prima lettura, Filippo va in Samaria: non poteva trovare un posto migliore? Un ebreo se toccava un samaritano doveva lavarsi per tre giorni perché era ritualmente impuro; eppure Filippo va dai samaritani, chiama quelli più distanti, coloro che sono scismatici e che non capiscono la verità. Chi andrebbe a cercare un etiope eunuco, uno che non era a pieno titolo nel popolo di Israele? Eppure “mosso dallo Spirito”, Filippo va ad evangelizzare questa persona. Credo che non dobbiamo avere paura di rivolgerci alle persone anche le più distanti; anche il Papa parla delle periferie esistenziali. Ma credo anche che tutto questo dovrebbe ripartire dalla serenità nel relazionarci tra di noi, carissimi confratelli. Cerchiamo di moderare la lingua; a volte la chiacchiera su di noi ci blocca gli uni verso gli altri: non vogliamo farci vedere nei nostri punti deboli, e questo vanifica la possibilità di vivere e condividere la gioia della morte e risurrezione tra di noi. Perché se non abbiamo il coraggio di condividere la nostra morte, come facciamo a condividere la risurrezione? E se non condividiamo la risurrezione tra noi come possiamo vedere l’azione di Cristo vivo che ancora oggi opera tra di noi, nelle nostre vite, nei nostri cuori, nella nostra pastorale? Chiediamo al Signore la grazia di saperci accogliere sempre di più, di saperci accettare a vicenda gli uni gli altri così come siamo, e di poter condividere le fatiche e le gioie della nostra vita con più sincerità e immediatezza perché l’azione di Dio si possa manifestare tra di noi. Sono convinto che noi siamo lo snodo, il punto chiave della evangelizzazione nella nostra diocesi, perché attraverso di noi passano i doni del Signore; e quando noi riusciamo a liberare questi doni in pienezza, anche i laici riescono a liberare i doni che hanno in virtù del loro battesimo. È per questo che dobbiamo fare questo grandissimo cammino di liberazione dei doni di Dio in noi. Quando penso che ciascuno di noi, da ragazzo, ha visto Gesù in qualche modo, ha deciso che quel Gesù che ha incontrato era la ragione della sua vita e ha consacrato completamente la sua affettività al Signore, vedo raccolto un tesoro incredibile: il tesoro di un incontro misterioso. Facciamo in modo che questo tesoro venga condiviso, diversamente ci riduciamo a pensare come ci ha detto il mondo in questi ultimi decenni: “Ma in fondo i preti sono persone come tutti gli altri”. Un po’ riduttivo; certo siamo persone come tutti gli altri, ma che però hanno avuto un incontro straordinario e che hanno deciso di consacrare la propria affettività a Gesù. Il sacerdote non è come tutti gli altri: ha il potere di perdonare i peccati nel nome di Gesù, ha il compito di offrire l’eucaristia alla comunità; ma questo non è un privilegio, né un vanto umanamente parlando, perché sappiamo bene che tutto questo si incarna nella nostra fragilità che non deve mai darci scandalo, mai abbassare le nostre aspettative. Allora con umiltà vogliamo offrire alle nostre comunità le nostre persone così come sono, vogliamo imparare a condividere sempre di più la nostra vita tra noi, per poter magnificare il Signore come ha fatto Maria. La Madonna della Salve è il nostro richiamo e il nostro modello; lei insieme a Giovanni il discepolo che rappresenta tutti noi. lei sta partorendo la Chiesa nel dolore. La croce di Cristo è l’inizio di una vita nuova e Maria è associata a Gesù in questa opera: creare qualcosa di nuovo. Chiediamo al Signore, per intercessione di Maria, la grazia di riuscire a fare questa fatica feconda per liberare i doni che il Signore ha fatto al nostro presbiterio, per poterli condividere e poter compere le grandi opere alle quali il Signore ci ha chiamati.
Sia lodato Gesù Cristo.