Veglia Missionaria
Carissimi fratelli e sorelle abbiamo una vista selettiva, cioè istintivamente tendiamo a guardare le persone a seconda di alcuni criteri e chiavi interpretative che istintivamente abbiamo costituito nella nostra vita. Sapete che quelle che costituiamo nella nostra tenera infanzia sono chiavi interpretative essenzialmente egoistiche: è buono chi mi dà qualcosa di buono. Così funzioniamo da piccoli: la mamma mi dà da mangiare ed è buona, e via di seguito. Altri criteri vengono più avanti negli anni, e vengono in base alla nostra storia, alle nostre esperienze, alla nostra vita. Tra questi ce ne sono alcune di carattere sociale che sono particolarmente faticose da stanare e da superare, e che provengono dal fatto che relazionarci con ciò che è estraneo o diverso da noi ci costa fatica; non solo ci costa fatica ma, a dir la verità, istintivamente ci mette paura. È normale, siamo fatti in questo modo; ciò che non è immediatamente intuibile e comprensibile, ciò che non mi fa sentire a casa, in qualche misura mi fa paura perché mi rendo conto di non capire e di essere in difficoltà. È chiaro che con le persone che mi sono simpatiche ci sto volentieri, mi trovo meglio, e così di fatto mi abituo a stare con le persone più simpatiche, cioè quelle che con le quali le mie categorie, in modo immediato, entrano in sintonia; questo mi risparmia anche fatica e, soprattutto, mi risparmia disagio. Quante volte, carissimi fratelli e sorelle, abbiamo provato disagio, in modo particolare, con gli stranieri e con i poveri per la fatica di capirli e di entrare in relazione con loro; soprattutto con i poveri, quelli più radicali perché sono la collezione di tutto quello che non vorremmo essere nella vita; e quindi relazionarci con queste persone costa molta fatica perché tutti i nostri sensi, senza dirlo razionalmente, ci suggeriscono di andarcene via. Gesù ci dà invece come criterio la vicinanza fisica, passare per strada e imbatterci nel povero; non è un criterio sociologico direttamente, ma alla domanda: “Chi è il tuo prossimo?”; risponde: “Il tuo prossimo è quella persona in cui ti sei imbattuto”; non è uno che presenta certe caratteristiche sociologiche, è della tua famiglia, è ricco o povero; il tuo prossimo è quello in cui ti imbatti. Ti imbatti in lui e in quel momento ha bisogno di te. È chiaro che i bisognosi sono un centro di attrazione, ma il punto primo è che li imbatti, li incontri. Quindi noi, prudenzialmente e istintivamente, cerchiamo di non imbatterci in questo genere di persone. Essere dalla parte dei poveri e avere il coraggio di lasciarci portare dal Signore ovunque, di lasciarci incontrare chiunque, e di raccogliere la sfida di vedere negli occhi del fratello veramente un fratello, negli occhi di chi non conosciamo, negli occhi di chi istintivamente eviteremmo, vedere un fratello. È una sfida che non è banale, è una sfida che va contro alcune resistenze di carattere immediato e inconscio della nostra vita. Ma quando abbiamo il coraggio di raccogliere questa sfida e di entrare in relazione con questi fratelli ci rendiamo conto che la realtà è ben diversa da quella che il nostro inconscio si aspettava. È una fatica psicologica non indifferente, tuttavia meritevole di essere vissuta perché porta grande pace al cuore e ci fa sentire veri, perché tutte le volte che cediamo ai nostri istinti consci o subconsci ci sentiamo meno veri. Il buon samaritano è un uomo che ha la libertà di accogliere la presenza di una persona che ha bisogno. Forse questa libertà l’ha proprio in virtù che è un samaritano, abituato ad essere trattato come uno che non vale e che non deve essere nemmeno toccato; forse questo è più disposto e più libero per l’incontro. Essere dalla parte dei poveri vuol dire saper scavalcare le spesse mura delle nostre difese inconsce e anche di quelle consce. Essere dalla parte dei poveri significa guadagnarsi la libertà interiore. Essere dalla parte dei poveri significa avere la pace per aver fatto quello che in fondo il nostro cuore ci sta gridando di fare e che tante volte non facciamo perché lo mettiamo a tacere. E mettere a tacere il cuore è sempre qualcosa che ci porta inconvenienti nella vita. Vogliamo allora chiedere al Signore la grazia di avere il coraggio di far questi passi, e sicuramente sarà più facile farli quando si ha per mano un fratello o una sorella, cioè farli come comunità, perciò chiediamo al Signore la grazia che come comunità abbiamo il coraggio di camminare in una via di libertà, per raggiungere la vera libertà interiore ce ci permetta l’incontro con tutti coloro che sono sulla nostra strada. La nostra Signora della Salve ci accompagni e ci guidi in questo cammino.
Sia lodato Gesù Cristo.