Giovedì Santo

Giovedì Santo
Es 12, 1-8.11-14; 1Cor 11, 23-26; Gv 13, 1-15
Carissimi siamo ormai alla Pasqua,
sarà perché questa Pasqua capita molto presto ma, quest’anno, la quaresima mi è sembrata molto più breve rispetto agli altri anni, o forse sto invecchiando e quindi i giorni passano più veloci. Siamo arrivati a questi giorni in cui la luna splende piena e siamo qui a commemorare quella sera in cui Gesù, come questa sera, una sera di luna piena, ha celebrato la pasqua con i suoi apostoli. Gesù, il messia, il Figlio di Dio fatto uomo, il Signore celebra la cena pasquale ebraica, la presiede. Ma anziché fare esattamente il rito della cena pasquale ebraica cambia alcune cose. Il cambiamento più grande è quello dell’eucaristia; si usava il pane azzimo ma Gesù, ad un certo punto, anziché continuare con il rito della pasqua ebraica, pone una variazione ed istituisce l’eucaristia con il pane azzimo: “Prendete, e mangiate tutti: questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi”. Poi noi diciamo: “Dopo la cena, allo stesso modo …”, il rito della pasqua ebraica, infatti, aveva due elementi rituali che incorniciavano una cena normale; una prima parte con gli azzimi e le coppe di vino, poi vi era la cena normale e, ancora, due coppe di vino che venivano fatte passare. Gesù fa una variazione sul rito, e prendendo la coppa di vino disse quelle parole che in tutte le messe ripetiamo: “Questo è il calice del mio sangue per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati”; e poi ha aggiunto: “Fate questo in memoria di me”. Gesù fa questa grande trasformazione del rito; l’eucaristia riprende quella cena, Gesù riprende gli elementi di quella cena ma ne dà una innovazione, e inserisce questo sacramento geniale, divino, con il quale permette a noi di essere partecipi di quel sacrificio da lui offerto nel suo corpo sulla croce. Sacrificio non più riferito ad un agnello ma a lui, agnello di Dio che toglie i peccati del mondo. Ogni volta che noi riceviamo il corpo e il sangue di Cristo, noi partecipiamo come commensali a quello stesso sacrificio. Questo è un dono grandissimo che custodiamo con grande amore nella Chiesa e che, pur custodendolo con grande amore, capiamo poco perché è un mistero talmente alto che nonostante tutto quello che abbiamo studiato sull’eucaristia, si ha la sensazione che l’abbiamo appena scalfito. Poi c’è anche quell’altro segno che non è diventato un sacramento, ma che in qualche modo spiega l’eucaristia: la lavanda dei piedi. Questo modo di fare di Gesù è veramente strano: non lo si può comprendere; gli apostoli stessi si immaginavano un messia trionfante, il re, il figlio di Dio, il consacrato del Signore che diventava re di Israele e che sottometteva tutti e che scacciava i romani. Ma avevano la sensazione di vederla grigia al punto che Pietro, con la sua immediatezza e simpatia che lo contraddistingue, si era procurato due spade, nascoste nel mantello. Avevano annusato aria pesante ed erano pronti a combattere per Gesù, a difenderlo. “Darò la mia vita per te” gli aveva detto Pietro, poi la fragilità l’aveva fatto cadere, ma questa era la vera intenzione di Pietro. Gesù sorprende tutti, e questo è il punto che fa capire quello che succederà quella notte, con la piega imprevista che prenderanno gli eventi. In quella notte, tutto andrà al contrario di quello che un buon ebreo si sarebbe aspettato, tutto sembrava distruggere quell’immagine di Gesù come messia, come Signore, come re d’Israele; lo farà apparire come un bravo sognatore, il cui sogno verrà infranto dal potere; uno dei tanti sognatori della storia, molto bravo, ma i cui sogni vengono infranti dai giochi di potere. Avere questa sensazione è devastante; un apostolo che ha lasciato tutto per seguirlo, che per tre anni ha creduto che fosse il messia, ora ha la percezione che tutto sta finendo, che Gesù è stato sconfitto, che non sembra assolutamente essere il re di Israele; glielo scriveranno solo per scherno sulla croce. E invece Gesù voleva dire che il suo modo di essere re d’Israele era esattamente questo, e lo fa con questo segno fortissimo. C’è l’acqua già pronta, la brocca, il bacile, l’asciugamano tutto quanto necessario per lavarsi le mani: all’inizio del rito, infatti, il celebrante si lavava le mani, poi dopo di lui tutti gli altri commensali. Gesù invece prende questo bacile, si cinge l’asciugamano al fianco, si cinge le vesti con il cingolo che noi portiamo ancora oggi sotto la casula, si alza la veste perché non gli dia fastidio e passa a lavare i piedi agli apostoli. Pietro si rifiuta, perché questo modo di fare non corrisponde alla sua idea di messia. Fratelli e sorelle se capissimo questo gesto avremmo già capito tutto di Gesù. Questi dice: “Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri”. Il mondo non va avanti in modo verticistico, dall’alto verso il basso, regnando sugli altri, ma il mondo va avanti capovolto servendo da sotto gli altri: questa è una cosa incredibile, e siamo qui ancora, dopo due mila anni, che fatichiamo a capire; tant’è che continuiamo a disegnare le cose dall’alto in basso. Lo faccio anch’io quando c’è da delineare un progetto, un programma, una struttura pastorale: ho sempre questo errore di fondo che non riesco ad abbandonare. E invece Gesù ci dice che dobbiamo servire, inchinarci, piegarci, lavare i piedi: una cosa che era scandalosa, perché un ebreo non poteva lavare i piedi ad un altro, era contrario alla sua dignità, si rifiutava. Gesù si mette a fare una cosa che era considerata scandalosa, segno dell’indegnità. A me piace questo gesto e più passano gli anni e più mi appassiona, perché capisco quanto poco sono capace di realizzarlo, e quando gli altri mi calpestano non sono in grado di perseverare nel servire. Diversamente credo di essere chissà chi, e invece non sono niente: ecco perché ci fa bene, nella Chiesa, riflettere su questo gesto; ci fa bene pensarlo, meditarlo, guardarlo, farlo e sentirselo fare. Carissimi fratelli e sorelle, ricordiamo questo stile di Gesù tanto datato eppure ancora tanto efficace. Il Signore ci aiuti ad entrare nella profondità di questo gesto e a uniformare la nostra vita a questo gesto. Ora lo ripeterò impersonificando indegnamente Gesù, cercando di capire nella mia povertà questo insegnamento e chiedendo al Signore che io lo riesca ad incarnare. Pregate per me perché riesca a farlo, perché sono qui per servire non per essere onorato. La Vergine Maria ci accompagni per fare della nostra vita un servizio gioioso ai fratelli.
Sia lodato Gesù Cristo.