Veglia di Pasqua

Veglia pasquale
Rm 6, 3-11; Lc 24, 1-12
Carissimi fratelli e sorelle abbiamo ascoltato questo vangelo pasquale che ci racconta l’episodio straordinario, stupefacente della risurrezione del Signore. Io mi immagino che cosa deve essere stato per le donne arrivare al sepolcro e trovarlo vuoto. Subito, sapete come siamo fatti, avranno pensato: “Ne sono già successe di tutti i colori. Ed ora che cosa è successo ancora di nuovo?”. “Hanno già torturato a morte Gesù, l’hanno ammazzato, adesso hanno anche trafugato il cadavere?”. Questo certamente è stato il loro primo pensiero, poi però c’è un dialogo, ci sono questi uomini che si presentano in abito sfolgorante e che danno l’annuncio del risorto. Le donne hanno visto una tomba vuota, non un Gesù vivo; la tomba vuota non significa risurrezione, è una assenza di qualcosa, una assenza di corpo, non la presenza di un risorto. Quindi era necessario che qualcuno spiegasse loro che cosa stava succedendo. “Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto”. E poi, il richiamo è alla parola di Gesù: “Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea e diceva: Bisogna che il Figlio dell’uomo sia consegnato in mano ai peccatori, sia crocifisso e risorga il terzo giorno”. L’aveva fatto almeno tre volte questo annuncio. “Ed esse si ricordarono delle sue parole e, tornate dal sepolcro, annunciarono tutto questo agli Undici e a tutti gli altri”. Non sappiamo quanti fossero quelli che ricevettero questo annuncio, ma è probabile che fossero in dieci, poiché Tommaso non c’era, o forse erano ancora di meno. Questo annuncio della risurrezione di Cristo viene fatto in una comunità disgregata dal dolore, disgregata dalla sofferenza terribile e lancinante di quegli ultimi due, tre giorni. Penso alla nostra comunità diocesana; celebrando la liturgia, questa sera, ho avuto l’impressione che, rispetto agli altri giorni, fossimo sottotono. Mi sono detto: “E’ plausibile!”. In questi ultimi giorni, ho avuta l’avvertenza che nella nostra comunità diocesana sta crescendo la nostra consapevolezza che dobbiamo imparare ad avere misericordia per gli altri e a perdonare gli altri. Sto sentendo che è come una cosa che germoglia, che sta nascendo tra noi. C’è una cosa che dobbiamo ricordare: per avere misericordia non c’è bisogno di una comunità, è più faticoso. Ma il fatto di aver misericordia ci dice che le condizioni disgregate sono quelle ideali per la misericordia, cioè quando hai materia per perdonare è proprio in quel momento che si deve avere misericordia. E’ normale far fatica con la comunione: per gioire, per lodare Dio, per cantare insieme con gioia bisogna essere comunità, ma il passo della misericordia deve già essere acquisito. Credo che forse ci vorrà ancora un po’ di tempo per esercitarci nella misericordia, ma quando avremo vissuto la misericordia, e ogni volta che la viviamo o che tra noi si vive il mistero della misericordia, avremo anche creato un legame di comunità. E’ così che funziona la Chiesa, è questa la comunione dei santi, carissimi fratelli e sorelle; anche San Paolo, colonna della Chiesa, uno dei due grandi apostoli della Chiesa, ha litigato di brutto proprio con Pietro; ha litigato con mezzo collegio apostolico, non doveva avere un carattere molto morbido e duttile, eppure si è riconciliato, eppure hanno vissuto la comunione, anzi grazie alle fatiche ha vissuto una comunione più autentica. Ecco cari fratelli e sorelle, non scoraggiamoci nel cercare la comunione tra noi, nell’avere misericordia gli uni verso gli altri, nel perdonarci. La condizione per creare una vera comunità diocesana sta nel creare veri legami e i veri legami si costruiscono attraverso la via della misericordia. Il Signore ci dia la grazia di poter ricordare la bellezza di tutto ciò che abbiamo ascoltato questa notte, in questa bellissima liturgia. La Vergine Maria nostra Signora della Salve, che tra poco festeggeremo, accompagni tutti noi e la nostra Chiesa: la guidi e la benedica perché possa vivere il vangelo in pienezza e in gioia.
Sia lodato Gesù Cristo.