Veglia di Pentecoste
Gen. 11, 1-9; Ez 37, 1-14; Gl 3, 1-5; Rm 8, 22-27; Gv 7, 37-39
Carissimi, siamo giunti alla Pentecoste, il tempo corre veloce. Siamo alla conclusione del tempo di Pasqua che culmina nel dono dello Spirito Santo alla Chiesa. Lo Spirito che vivifica la Chiesa, lo Spirito che inizia una nuova creazione nell’ordine spirituale, lo Spirito che viene effuso nei nostri cuori, lo Spirito che in ciascuno di noi intercede “con gemiti inesprimibili”, lo Spirito che ci dà le primizie, lo Spirito che scruta i nostri cuori ci viene donato. Dobbiamo riflettere con attenzione a questo dono dello Spirito Santo, è il modo più vicino con cui Dio agisce nel nostro cuore. Lo Spirito Santo è persona, è presenza vera, lo Spirito Santo è la forza e la potenza di Dio in azione nella mia vita. Dobbiamo crederlo e, credendo, dobbiamo dargli spazio. Crederlo non è così scontato: abbiamo ascoltato dalla lettura del profeta Ezechiele, la visione con questa distesa, una pianura piena di ossa, ossa inaridite, tutte inaridite. Non è facile credere che possano vivere. A volte quando leggiamo il Vangelo, quando leggiamo gli Atti degli Apostoli, il Nuovo Testamento, le Lettere alle comunità cristiane ci viene da dire: “Ma quanto abbiamo perso”. Pensate soltanto al linguaggio: per capire San Paolo quasi dobbiamo tradurlo; fatichiamo a capire che cosa dice, abbiamo perso il linguaggio paolino che è certamente un po’ elaborato, ma in fondo non sono centomila vocaboli ma pochi da capire. Eppure, nonostante la nostra aridità, nonostante la nostra fatica a portare frutti, i frutti dello Spirito, il Signore vuole oggi profetizzare sulla sua Chiesa, vuole profetizzare sulla nostra Chiesa e lo chiede a noi, chiede a noi di profetizzare. È Ezechiele, infatti, che deve fare questo, non è il Signore che parla direttamente; lo fa attraverso di noi, chiede a noi di credere che quelle ossa possano vivere, che quelle ossa inaridite possano riprendere vita. Siamo noi, al di là dei sacramenti ricevuti, solo il battesimo o anche l’ordine in uno, due o tre gradi, siamo noi e sempre abbiamo bisogno di essere rivificati dal dono dello Spirito. Ci vuole fede, e il Signore farà questo come lo ha fatto con il profeta Ezechiele. Lo Spirito Santo restaura quello che era andato storto con la torre di Babele; alla costruzione della torre, quando l’uomo cerca di arrivare a Dio si perde; quando vuole innalzarsi sulle sue forze, partendo dalla terra e fondandosi sulla terra per salire al cielo, l’uomo si divide, non è più capace di comunicare e perde la comunione. La Pentecoste è il movimento contrario: Dio scende dall’uomo, Dio che viene a portare la comunione, Dio che viene a portare il linguaggio dell’amore che ci fa comprendere e amare. Non è l’uomo che sale verso Dio; tutto questo non è fondato sulla terra, ma radicato nel cielo. Tocca a voi ricevere questo dono, e ricevere non è un atto banale, arriva un pacco e lo prendo in mano; nel nostro caso è un atto che comprende una adesione libera e profonda, una volontà netta, chiara e cristallina, perché il Signore possa fare quello che vuole nella mia vita attraverso questo dono. E allora tocca a noi raccogliere l’invito di Gesù: “Se qualcuno ha sete venga a me e beva chi crede in me, dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva”. Questo egli disse dello Spirito. Carissimi fratelli e sorelle beviamo insieme alla fonte di Cristo, dal suo cuore; beviamo alla fonte della grazia, accogliamo il dono dello Spirito, lasciamolo lavorare nei nostri cuori, impariamo il linguaggio dell’amore che lo Spirito ci suggerisce, amiamoci, impegniamoci ad amarci gli uni gli altri: è la cosa più importante di tutte. Tante cose sono uscite dall’odierna assemblea diocesana, ma una è sicura: ci dobbiamo amare, quella è la fonte di tutte le altre. Amiamoci, non perché l’altro è simpatico, non perché l’altro mi dà retta, non perché l’altro mi dice di sì, non perché l’altro agisce bene: amarci è una azione libera e totalmente gratuita, senza aspettarsi alcun ritorno. È una azione che ci chiede lo sforzo di ripartire, di ritornare dal Signore per dire: “Signore rinnova in me il dono del tuo Spirito, perché io ami, perché io riparta ad amare”. Carissimi se facciamo in questo modo sarà una primavera. Chiediamo al Signore la grazia di camminare in questo modo, questa grazia ci viene data in modo particolare in questa celebrazione così significativa per la presenza di tanti confratelli che ringrazio, perché mi ricorda il cenacolo apostolico, la Chiesa unita nell’attesa del dono dello Spirito. Imploriamo questa grazia in questa celebrazione. La Vergine Maria nostra Signora della Salve ci accompagni perché il dono che ci viene fatto sia accolto con grande disponibilità e porti frutti d’amore nella nostra Chiesa. Questo si realizza ora.
Sia lodato Gesù Cristo.