Omelia S. Messa festa di tutti i Santi

Festa di tutti i Santi
Ap 7, 2-4.9-14; 1Gv 3, 1-3; Mt 5, 1-12
Carissimi fratelli e sorelle, tante volte quando ascolto questo brano, che è l’inizio del discorso della montagna, mi metto nei panni di quelle persone che hanno lasciato le loro occupazioni per andare in un luogo deserto, perché è il luogo dove Gesù parla. Dopo il lungo discorso gli apostoli gli dicono: “Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare”. Sono usciti fuori dalla civiltà delle zone a densa popolazione per andare i un luogo appartato per ascoltare Gesù. Hanno lasciato le loro solite occupazione per dedicarsi all’ascolto di Gesù; questi ha predicato per tre giorni e dopo tre giorni che predica fa la moltiplicazione dei pani. Vi immaginate queste persone che hanno lasciato le loro occupazioni per andare ad ascoltare una predicazione e subito si sentono dire: “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli”. “Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati”. Ma chi può capire questa beatitudine? “Beati quelli che sono nel pianto”. Sarebbe meglio dire: “Beati quelli che non sono nel pianto, beati quelli che non devono essere consolati”. Non ci si mette a piangere per essere consolati, e se questo succede è solo una compensazione psicologica che non fa pensare ad una buona salute o ad uno stato di beatitudine, semmai di ferita. “Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia”, cioè quelli che stanno patendo ingiustizie, i misericordiosi che si vedono come persone deboli, stolte, incapaci di farsi i propri conti; i puri di cuore, gli idealisti, gli operatori di pace, i perseguitati per la giustizia, i perdenti; fino a dire: “Beati voi quando vi insulteranno e vi perseguiteranno e mentendo diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia”. Immaginate uno che ascolta questo rabbì che ha una dottrina nuova, che compie delle guarigioni, che fa dei miracoli, e sente dire queste cose! Ora immedesimiamoci in noi stessi: io che mi sento dire: “Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno, e mentendo diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia”, ascolto questa parola del Signore e mi rallegro ed esulto “perché grande è la mia ricompensa nei cieli”? Queste pagine del vangelo che sono una sprangata alla bocca dello stomaco, indicano una visione della realtà che è stravolgente perché, per ragionare in questo modo, non ci si può costringere a pensare queste cose se non sgorgano dal cuore. Quando vieni insultato, perseguitato e quando, mentendo, dicono ogni male contro di te per causa di Gesù, non puoi farlo in modo ipocrita rallegrandoti ed esultando. O sei convinto o non ce la fai, ma Gesù ci ha detto questo. Tutto questo ci fa capire come il reato di lesa maestà nei confronti della nostra persona sia imperante. Questa visione differente della realtà è il frutto di uno sguardo nuovo sul mondo, uno sguardo nuovo che, assieme alle cose terrene sulle quali molto riflettiamo, ragioniamo, programmiamo, ci occupiamo e ci affanniamo – a cominciare dal far quadrare i soldi e a continuare con qualsiasi genere di cose – mi fa contemplare la realtà con uno sguardo trascendente. Questo sguardo diverso è quello che ci fa ricordare che esiste il cielo, un’altra prospettiva, che esiste una fetta di mondo più grande del nostro, più popolato del nostro, e nel quale le cose vanno diversamente. Tutto questo accade nella liturgia nella quale mirabilmente si congiungono le cose del cielo con quelle della terra. Nella liturgia la potenza, la nitidezza, la purezza di Dio entrano, irrompono nella realtà trasformandola: Dio irrompe nella storia attraverso il varco spazio-temporale della liturgia che collega il nostro spazio-tempo, “hic et nunc”, “qui e ora” di oggi, di adesso in questa cattedrale con l’eternità della liturgia del regno dei cieli, con l’eternità della presenza di Dio con tutti i santi nel regno dei cieli. Questo stiano celebrando questa sera. Noi siamo pochi, pensate a quanti santi ci sono in cielo, angeli santi, una moltitudine incredibile di persone che adesso, grazie alla liturgia, in comunione con noi, stanno affacciandosi sulle nostre vite, sulle nostre anime per intercedere per noi, per dispensare le grazie di Dio. Che bello! Questi ce l’hanno fatta: hanno faticato, hanno anche sofferto, ma sono rimasti fedeli al Signore e hanno vissuto quella pace del cuore che nessuno può dare se non Dio, una pace speciale, sconfinata che accompagna anche in mezzo alle più grandi tribolazioni. Ricordo ancora quest’estate nel cammino di Compostela, il giorno che meditavamo su quel brano del vangelo dove si racconta di Gesù cammina sulle acque; pensavo a san Giacomo, di notte a remare in quella barca, e dicevo: “Tu ce l’hai fatta. Noi adesso veniamo alla tua tomba e tu ce l’hai fatta. Ne hai passato di tutti i colori, ti hanno fatto anche la pelle ma ce l’hai fatta”. È consolante, carissimi fratelli e sorelle, pensare queste cose che ci fanno dire: “Questa vita la voglio vivere bene, voglio viverla con gioia, con passione perché merita, perché è un dono di Dio e Dio non vuole che la viva solo come una tortura o come un fastidio, vuole che la viva come qualcosa di generativo di pace e di benedizione”. Questa generazione di pace e di benedizione avviene attraverso la liturgia nella quale posso dire: “Signore ti offro le fatiche che faccio, ti offro la mia vita; grazie per avermela donata. Grazie perché essa è preziosa ai tuoi occhi, perché so che tu mi guardi con amore e anche miei fratelli santi nel cielo, pure mi guardano con amore. Te la offro o Signore, fa’ che la viva con passione, con coraggio, con tenacia, sempre puntando verso il bene perché anch’io voglio essere nel numero di coloro che ce l’hanno fatta a vivere come vuoi tu”. La Vergine Maria e l’imponente schiera di tutti i santi nel cielo intercedano per noi, per la nostra povera Chiesa, perché vinto ogni limite, rendiamo gloria a Dio con le nostre semplici ma preziose vite. È quello che celebriamo adesso offrendo sull’altare le nostre stesse vite.
Sia lodato Gesù Cristo.