S. Messa celebrata nella Cappella dell’Ospedale SS. Antonio e Biagio in occasione della festa di S. Antonio Abate
1 Sam 17, 32-33.37.40-51; Mc 3, 1-6
Carissimi,
celebrare S. Antonio abate vuol dire innanzitutto celebrare un uomo di una statura straordinaria; credo che noi, in occidente, non abbiamo la grande vera misura di questo uomo perché un po’ culturalmente distante da noi nonostante ci sia un legame molto forte con il mondo contadino. Ricordo quando ero parroco sopra i monti a Genova, per S. Antonio avevamo la benedizione del pane e degli animali, segno di una antica tradizione e devozione nei confronti di questo grande monaco eremita che è stato un caposcuola per coloro che si dedicavano completamente al Signore. Egli viveva il suo eremitaggio per combattere contro il male a favore di Dio. In realtà non era un segno di isolamento ma di maggiore intercessione. Devo dirvi che se io sento delle persone vicine nel ministero nella mia Diocesi sono proprio alcune che non partecipano mai a nessun pontificale in cattedrale: sono le monache di clausura che stanno a Valmadonna, dalle quali celebro la messa tutti i venerdì mattina. Questa loro azione è una azione spirituale profonda. San Paolo scrive agli Efesini: “Pregate con ogni sorta di preghiere e suppliche nello Spirito e a questo scopo vegliate con ogni perseveranza e supplica per tutti i santi”. La preghiera sembra non essere più di moda, una perdita di tempo: oggi abbiamo un mucchio di cose da fare e non abbiamo tempo da dedicare alla preghiera. Eppure, il Signore viene periodicamente, in modo molto provocatorio, a richiamarci l’importanza e il primato della preghiera sulle nostre azioni. E senza lasciarsi incanalare nel senso: siamo in un ospedale, una struttura attrezzata per guarire gente malata; qualche volta il Signore lo fa senza struttura, senza costi, con quel suo solito stile disarmante, imbarazzante anche per il Vescovo, perché Dio a volte con queste cose è provocatorio e imbarazzante anche per noi Vescovi. Queste guarigioni così strane, impossibili, assurde, ostinatamente assurde servono per richiamarci delle verità, per richiamarci un primato di cose, per richiamarci che nel bene dell’uomo c’è qualche cosa che è più in alto di altri beni, ed è il bene spirituale il quale, potremmo dire, irrora l’uomo a partire dalla sua profondità più grande fino ad arrivare al corpo. Ora voi capite bene che Dio non può far miracoli su tutti, anche Gesù non ha fatto così; sono stati esemplificativi, segni di quello che poteva fare sull’anima. Dio, infatti, sembra più interessato a spiegarci che cosa può fare sulle anime. Noi invece siamo fissati sul corpo e, in questo, c’è un po’ di senso per tutti noi e vale il discorso che quando si sta male fisicamente, è veramente un dramma. Tuttavia nessuna grana è più grave dello star male nell’anima, perché lì è l’arrendersi, l’appiattirsi di tutte le nostre dimensioni. Mentre se crediamo che abbiamo un’anima spirituale che è intrinsecamente eterna e quindi ha davanti una prospettiva eterna, crediamo che il nostro destino definitivo ed eterno è più importante di quello terreno. San Paolo lo dice con parole molto semplici: “Credo che la quantità temporale di tribolazioni non sia paragonabile con la smisurata gloria eterna che avrò dal Signore”. Perché dico queste cose e non voglio fare concorrenza alla Azienda Ospedaliera per guarire le persone, ma voglio dare un piccolo contribuito che, talvolta, si rende anche sperimentabile: quando abbiamo uno stato di benessere interiore questo benessere ridonda anche nella nostra vita fisica. Quando riusciamo a vivere una interiorità profonda e comunionale con Dio e con il fratelli, riusciamo a vivere in modo più sano anche fisicamente in questa vita. È un mistero, ma è una realtà. La realtà alla quale Dio, in questo modo provocatorio, ci richiama tante volte con dei miracoli assurdi e fuori del senso umano. Sono convinto che il porsi dell’uomo con serietà e serenità di fronte alla sfida provocatoria e assurda di Dio di guardare ad un universo spirituale, sia un compito entusiasmante e rivitalizzante, senza il quale il nostro vagare per le strade di questo mondo, perde tanto del suo fascino; la vita è affascinante, la vita è bellissima, tuttavia la vita in una prospettiva soprannaturale è ancora più affascinante. Carissimi fratelli e sorelle, anche io sono sottoposto alla tentazione di occuparmi delle grane, dei problemi, delle difficoltà e fatiche che il ministero episcopale mi presenta davanti sotto varie forme: problemi di persone, difficoltà, sciagure che accadono, scelte difficili, contrasti e fatiche; ma mi rendo conto che non esiste fatica che non riesca ad affrontare quando tengo saldo il timone della comunione con Dio, cioè puntare a Dio prima di ogni altra cosa. Non esiste nulla: “Chi ci separerà dall’amore di Dio?” si chiede San Paolo; “forse la tribolazione, la persecuzione, la nudità, il pericolo, la spada, di tutte queste cose noi siamo più che vincitori in virtù di colui che ci ha amato”. In questo luogo in cui la malattia ci porta di fronte alla brutalità del senso della vita, all’essenzialità delle nostre cose e tante sfioriscono di fronte al problema della salute fisica, in questo luogo mi sento di contribuire con il richiamarvi alla potenza di Dio, l’unica che riesce ad ordinare con un senso persino il gravissimo non senso della malattia e la tragedia assurda della morte di un essere che ha dentro l’impronta dell’eterno. L’intercessione della Beata Vergine Maria e dei Santi Antonio e Biagio ci accompagni perché possiamo vivere la nostra vita in un modo saporito, gioioso, appassionato, e perché questa Azienda Ospedaliera porti sempre con sé la scintilla di una passione che va sempre un po’ al di là e che la porti a fare cose sempre più grandi, sempre più belle e sempre più profonde. Vogliamo viverle adesso, nel riflesso più intenso di questa celebrazione eucaristica nella quale le nostre anime sono poste di fronte al mistero di un Dio che si fa uomo e che offre la vita per noi e che sceglie di salvarci in questo modo strano, umanamente assurdo. La Vergine Maria ci accompagni perché comprendiamo che il Signore non si ferma davanti a nulla, neppure davanti alla propria morte per tortura.
Sia lodato Gesù Cristo.