Pellegrinaggio alla Salve Zona Fraschetta Marengo
At 8, 1-8; Gv 6, 35-40
Carissimi fratelli e sorelle in questi giorni la liturgia ci presenta il discorso, riportato nel capitolo sesto del vangelo di Giovanni, nel quale Gesù parla del pane della vita che è lui stesso. È un discorso che parla dell’eucaristia ma pronunciato in un modo in cui nessuno può capirlo perché potrà essere comprensibile solo dopo che Gesù avrà istituito l’eucaristia, cioè nell’ultimo suo giorno di vita. Perciò è un discorso che noi definiremmo inutile. Immaginatevi se, questa sera, io mi mettessi a fare una omelia nella quale parlassi di cose incomprensibili; uscireste tutti brontolando. Le persone che ascoltavano Gesù hanno reagito in questo modo: “Questo parola è dura! Chi può ascoltarla?”; “Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui”. Perché Gesù si comporta in questo modo? Perché Gesù fa queste cose e ha questi comportamenti strani? Perché vuole fiducia e fede in lui; la fede, infatti, è il filo conduttore di tutto il suo discorso. Questa sera abbiamo sentito: “Chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai”. “Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io o risusciterò nell’ultimo giorno”. Gesù vuole suscitare la fede a dispetto delle nostre visioni molto concrete sulla realtà. Dopo la moltiplicazione dei pani tante persone lo cercano perché hanno mangiato i pani; inoltre non capiscono bene come Gesù sia arrivato a Cafarnao visto che non l’hanno visto partire, ed era rimasta una barca sulla riva, mentre gli apostoli con l’altra barca erano già dall’altra parte; e allora si rivolgono a lui chiedendo: “Rabbì, quando sei venuto qua?”. Gesù non risponde alla domanda dei suoi interlocutori, ma parte con un altro discorso: “Voi mi cercate non perché avete visto dei segni – che indicano un qualcosa di invisibile e di soprannaturale –, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati”. Questo discorso della fame e della sete ha due piani, uno orizzontale e uno verticale. “Chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai”. Veniamo in pellegrinaggio alla Madonna – grazie della vostra presenza e grazie ai sacerdoti che vi hanno accompagnato – certo per una tradizione, ma non liquidiamo in questo modo il nostro pellegrinaggio, esso è molto più impegnativo; siamo qua non semplicemente per seguire una cosa che sempre abbiamo fatto e che tutto sommato ci piace, ma perché il nostro presentarci davanti alla Madonna della Salve ci sintonizza con lei, e lei ci fa sintonizzare con la volontà di Dio. La Madonna della Salve è la colei che vive la volontà di Dio anche nel suo momento più crudo: vede morire il proprio Figlio in croce, lui che aveva detto cose giuste, buone e sante e che aveva guarito tante persone. Quello è stato per Maria un momento terribile, ma è rimasta, davanti a questo evento, aperta alla volontà di Dio, salda nella fede: “Beata colei che ha creduto”. Carissimi, dobbiamo imparare a guardare alle cose con gli occhi di Dio, e questo richiede la nostra capacità di sovvertire la nostra mentalità terrena e di vivere prospettive, sguardi e orizzonti ultraterreni, soprannaturali, nei quali i contesti di significato cambiano completamente. Ecco allora che il discorso di Gesù, umanamente poco sensato, fatto in una prospettiva soprannaturale, verrà compreso solo dopo l’istituzione dell’eucaristia. Questo ci porta a riconoscere come Gesù abbia dettato un insegnamento ad orologeria: ha insegnato una cosa che nessuno poteva capire in quel momento ma che dopo, improvvisamente, si è dischiuso in uno scenario completamente differente e impensabile; nessuno avrebbe potuto immaginare dalle parole di Gesù quello che poi è successo. Carissimi fratelli e sorelle, il nostro venire alla Madonna della Salve è per aprirci agli scenari di Dio che sono ben diversi dai nostri: Dio realizza cose che neppure riusciamo ad immaginare, e la fede sta nel credere che Dio porta a compimento un disegno sulle nostre vite. Questa è la nostra fede, e il nostro essere qui ha prima di tutto questa motivazione: riprendere la fede in Dio che non va mai data per scontata e che ogni volta detta una sfida nuova. Fatto un atto di fede subito dopo occorre rifarlo, e tutte le volte si deve ripartire impegnandoci con tutte le forze per vivere ciò che ci è richiesto. Il nostro essere qui è il sintonizzare la nostra fede in modo tale che Dio possa fare le cose che desidera nelle nostre vite; siamo tutti insieme a rappresentare la Chiesa, un solo corpo di cui Cristo è il capo, e ognuno di noi, individui con una storia ed una vicenda irripetibile. Il nostro essere qui non è per imparare tutti la stessa cosa come fosse una procedura, ma perché, nella singolarità della nostra vita, possiamo realizzare la volontà di Dio. Mi spiego con un esempio che traggo dalla prima lettura: “In quel giorno scoppiò una violenta persecuzione contro la Chiesa di Gerusalemme; tutti, ad eccezione degli apostoli, si dispersero nelle regioni della Giudea e della Samaria”. Immaginate: scoppia una persecuzione, come se questa sera persone armate entrassero dalle porte della cattedrale e ci disperdessero o ci volessero arrestare perché siamo cristiani cattolici. Non saremmo estasiati da questo programma, e nessuno di noi si sognerebbe un avvenimento di questo genere. Ma, tutto questo accadde a Gerusalemme e “quelli che si erano dispersi andarono di luogo in luogo, annunciando la Parola”. Ecco la cosa interessante: persone che facevano parte della stessa comunità vengono disperse e, nei territori dove si rifugiano, incominciano a predicare; lo fanno con le proprie capacità, il proprio stile e modalità, portando nel cuore il Signore Gesù. Il risultato è che dappertutto si diffonde la parola della salvezza. Se ora ci dicessimo: “Facciamo un bel progetto pastorale di evangelizzazione”, sono convinto che l’ottanta per cento di voi penserebbe che tocchi a qualcun altro. Mentre invece, come abbiamo ascoltato negli Atti degli Apostoli, non è così per i cristiani. Tutti partecipano, e se noi siamo pronti con il cuore, il Signore, da ogni evento, anche brutto, anche di persecuzione e di fatica, trarrà cose buone attraverso la nostra vita, la nostra storia comprese le nostre imperfezioni. Pensate a quanto sia bello avere questo atteggiamento nel cuore. Caro Domenico, diventare accolito vuol dire diventare ministro dell’altare, servire all’altare, che non è portare la cotta e gironzolare attorno all’altare: questo sarebbe una banale esplicitazione terrena dentro la liturgia; importante che tu riesca a mettere il tuo cuore in quella azione vivendo più da vicino il mistero di Gesù che riesce a trasformare in bene qualsiasi male attraverso un processo che si chiama sacrificio. Noi, purtroppo, abbiamo legato al sacrificio una connotazione negativa; mentre il sacrificio è un’opera positiva di bonificazione della realtà negativa. E come il re Mida che qualsiasi cosa toccava diventava oro, il cristiano tutto quello che tocca diventa bene e lo vive come sacrificio. Ecco perché il tuo diventare accolito ti chiede di avere questa capacità di vivere nella fede gli eventi della tua vita, in modo tale che, tutto quello che ti può captare, diventa evento bello. Ricordo una amica che entrando in ospedale per una malattia poi rivelatasi grave e fatale disse: “Voglio fare di questa malattia qualcosa di bello”. Questa è una frase umanamente poco sensata, che può essere compresa solo in questo atteggiamento cristiano di offerta amorosa. Domenico, vivere l’accolitato non è una questione semplicemente di un servizio liturgico o di una posizione che occupi dentro la comunità cristiana durante questo servizio, ma è prima di tutto un atteggiamento di vita: avvicinarti sempre più con il tuo cuore a questo mistero di offerta amorosa che trasforma ogni cosa persino quelle negative. È in questa ottica che la Chiesa primitiva è diventata evangelizzatrice perché erano pronti a vivere in spirito di offerta e di ringraziamento – che in greco suona “eucaristia” – ciò che stava accadendo. Chiediamo all’intercessione della Madonna della Salve la grazia di poter imparare, come Chiesa, questo atteggiamento del cuore, e di riuscire a vivere ogni cosa in relazione a Dio e in spirito di offerta e quando non ce la facciamo, ai fratelli e alle sorelle chiediamo aiuto e preghiere così da condividere i nostri pesi e le nostre pene: “Portate i pesi gli uni degli altri” sta scritto nel Nuovo Testamento. In questo modo la nostra Chiesa diventerà un luogo di grazia. Vi auguro di poter gustare la bellezza di poter sentire come è bello vivere in questo modo e con questi orizzonti. La Vergine Maria interceda per tutti noi.
Sia lodato Gesù Cristo.