850 anni di Alessandria
1Cor 15, 1-8; Gv 14, 6-14
Carissimi vengo da un pellegrinaggio di dieci giorni in Messico, e in questi giorni ho avuto modo di riflettere sul compleanno della nostra città e di farlo in una terra con una storia e una tradizione differente dalla nostra. Questo è stato particolarmente stimolante perché mi ha fatto guardare le cose da prospettive dalle quali non sono solito guardarle. Oggi festeggiamo i santi Filippo e Giacomo, apostoli, e la liturgia ci pone davanti dei brani che riguardano questa festa. Dialogando con Filippo Gesù dice: “Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo”. Filippo gli aveva appena chiesto: “Mostraci il Padre e ci basta”. E Gesù gli risponde in modo sorprendete: “Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo”. Si stava parlando del Padre e questo passaggio che Gesù è nel Padre e il Padre è in lui, è un passaggio teologico che nella cultura del popolo di Israele risultava ardito. Ma questa frase la sento rivolta a me, e, come successore degli apostoli e vescovo della Chiesa che è in Alessandria, mi sento dire da Gesù: “Da tanto tempo sono con voi e tu, Guido, non mi hai conosciuto?”. Come è difficile conoscere il Signore, e quanto è difficile imparare quello che lui ci ha detto! Potrebbe sembrare molto chiaro, ma difficile realizzarlo. Pensiamo al valore della vita, all’amarsi, al perdonarsi. Noi abbiamo una religione rivelata che ci dice queste cose. Sapete che, tra le religioni del mondo, quella cattolica anche sociologicamente ha una particolarità interessante poiché è l’unica che è stata in grado di far sorgere l’ateismo: interessante perché vuol dire apertura. Alcuni valori, compreso quello della laicità, sono nati in un contesto culturale che è quello cristiano cattolico; è in questo contesto culturale che ha buttato alcuni semi ben chiari di valori che sono quelli dell’amore e del perdono e sui quali è incentrata la vita di fede che fatichiamo a capire e ad incarnare con coerenza. Che fatica incarnare questi valori in una società dove ci sono tante teste, tanti pensieri, tante concezioni, tante libertà che interagiscono tra loro. In Messico pensavo proprio a questo e, vedendo le popolazioni indigene con la loro storia, girando per i siti archeologici, mi sono reso conto che noi siamo preda di correnti culturali, di mitizzazioni ideologiche abbastanza discutibili e spesso ridicole. Vedevo in quella terra una impostazione di società che spesso era estremamente cruda, sanguinaria, ingiusta, guerrafondaia. Ci è voluta la Madonna, che, dopo dieci anni dall’arrivo dell’uomo europeo, con una sola immagine, l’immagine impressa sul mantello di Juan Diego e conservata nel santuario di Guadalupe, ha messo a posto le cose. E, approfittando dei lunghi trasferimenti, ripensavo alla nostra storia, a quei secoli che, intorno alla nostra nascita, vedevano spinte diverse: la spinta del Sacro Romano impero, la spinta dei comuni verso le caratteristiche locali e, quella che cominciava molto in germe, la spinta verso gli stati nazionali. Quante spinte in direzioni diverse e quanta fatica nella realizzazione attraverso situazioni sanguinarie e ingiuste. Quando mi sono riletto lo stato della Chiesa precedente la fondazione di Alessandria, sono rimasto veramente colpito e mi sono chiesto come sia stato possibile uscire da quell’abisso, da quella corruzione morale, ideologica e comportamentale; eppure ne siamo usciti. Io che sento così forte nel cuore e così urgente la chiamata ad un rinnovamento, ad un cambio di passo nella nostra Chiesa e ad una visione più viva e più forte, ringrazio il Signore per tutti i passi che abbiamo fatto. Ma dobbiamo andare avanti. Carissime autorità volevo darvi questo messaggio: la nostra Alessandria è nata in un contesto storico, politico, sociologico, economico particolarmente complesso, e in questo ci siamo fatti le ossa, ma ne siamo usciti, certo attraverso momenti di fatica e di crisi, ma soprattutto di crescita, di espansione e di serenità. Siamo gli eredi di questa storia, una storia che fa di Alessandria un luogo particolare: è insieme un luogo chiuso dato dalla fortificazione e un luogo di passaggio; insieme un luogo stretto tra i fiumi e un luogo in una grande pianura; un luogo di dialogo, di relazione con altre città e con altri poli. Sociologicamente parlando, queste sono le caratteristiche scritte nel DNA del nostro popolo. Dobbiamo avere il coraggio di raccogliere il testimone della nostra storia, con le sue cose buone e quelle meno buone, per fare in modo che certi valori che ci sono stati trasmessi siano messi in pratica, siano vissuti, diventino realtà di popolo. Abbiamo la possibilità di fare tutto questo. Noi come Chiesa portiamo avanti quello che abbiamo ascoltato nella prima lettura: trasmettiamo quello che abbiamo ricevuto e cioè che “Cristo morì per i nostri peccati, fu sepolto, è risorto il terzo giorno e apparve a Cefa e ai dodici”; cerchiamo di portare avanti questo discorso di perdono e di amore, e lo facciamo con grande fatica e con grandi limiti, ma facendoci tutto a tutti. Mi faceva sorridere pensare che sono l’unica autorità cantante, non perché abbia una bella voce, ma perché la nostra Chiesa è fatta in questo modo: il vicario generale fa il direttore del coro, l’economo fa l’organista e io canto. La nostra Chiesa è fatta in un modo molto semplice e molto umano e dove tutti si mettono in gioco; cerchiamo di fare tutto questo con i nostri pregi e i nostri difetti, sbagliando alle volte, ma impegnandoci con il cuore anche nelle cose più umili e semplici. Vorrei consegnare a voi autorità il compito di portare avanti il testimone di questa nostra storia riprendendo i valori che devono guidare un popolo. Parliamo di questi valori, dialoghiamo, confrontiamoci, cerchiamo di far sì che diventino un patrimonio comune, un punto di arrivo che sia un riferimento per tutti noi al di là degli schieramenti e delle diversità di visioni che ci sono e che sempre ci saranno, perché un popolo è fatto di tante libertà, di tante intelligenze e di tanti modi percepire la realtà, tuttavia dobbiamo porci delle mete e degli obiettivi alti di valore che siano riferimento al nostro popolo. Chiediamo la grazia di riuscire a camminare in questo modo; chiediamo al Signore la grazia che questi punti di riferimento diventino un giorno realizzazione nella nostra terra e nel nostro popolo. Continuiamo la nostra celebrazione rendendo grazie a Dio per questi 850 anni di vita, e perché, nonostante tante difficoltà, siamo qua in una terra dove si sta bene e dove c’è umanità e grande accoglienza. Ringraziamo il Signore per quello che ci ha dato e gli chiediamo la grazia di andare avanti sempre meglio.
Sia lodato Gesù Cristo.