Omelia Veglia di Pentecoste

Veglia di pentecoste
Gn 11, 1-9; Rm 8, 22-27; Gv 7, 37-39
Carissimi
Abbiamo ascoltato nella liturgia della parola cose molto belle e molto profonde. In occasione della prima alleanza, il Signore parla sul monte e invita Mosé a salire; lo stesso invito era stato esteso anche agli anziani del popolo, ma questi avevano declinato l’invito perché si erano spaventati dell’incontro con il Signore: Dio ci fa un po’ paura. Sono tante le ragioni per cui Dio ci fa paura, ma vengono tutte a condensarsi in un problema: fatichiamo a pensare che qualcuno possa condurre la nostra vita perdendo noi il comando e il controllo. Aver in mano la nostra vita ci dà sicurezza perché è una predisposizione psicologica dell’uomo; noi, infatti, siamo abituati a pensare che quando si perde il controllo delle situazioni queste prendono delle pieghe che di solito non ci portano su strade buone. Noi vogliamo aver in mano la nostra vita, e siamo gli unici ad avere questa libertà che è volta a far muovere ciò che fa parte della nostra vita. L’incontro con Dio fa paura. È interessante notare come nel vangelo Gesù dica: “Come dice la scrittura: dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva”. Giovanni commenta: “Questo egli disse dello Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui: infatti non vi era ancora lo Spirito, perché Gesù non era ancora stato glorificato”. Le profezie dell’Antico Testamento dicevano che la legge sarebbe stata scritta non più sulle tavole di pietra ma sulle tavole dei cuori e, il giorno della pentecoste, in qualche misura ne è la realizzazione. In rapporto alla nuova alleanza mentre sul Sinai il Signore diede le leggi scritte su tavole di pietra, a Pentecoste, le scrive nei cuori, dentro di noi. Il popolo che non sale sul monte significa forse che non è ancora giunta l’ora; ma adesso si realizza quell’ora profetizzata dopo la pentecoste: “Effonderò il mio spirito sopra ogni uomo e diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie; i vostri anziani faranno sogni, i vostri giovani avranno visioni”. Ora perché mai la Chiesa nasce proprio a Pentecoste? Perché a Pentecoste viene reso evidente quel dono che era già manifestato sulla croce al momento della trafittura del costato di Cristo, gesto che richiamava la nascita della donna dal fianco dell’uomo come era avvenuto al momento della creazione – dal fianco di Adamo Dio ha tratto la costola con cui plasmare la donna – così dal fianco di Cristo, addormentato nel sonno della morte sulla croce, Dio trae sangue ed acqua segno dei sacramenti sui quali plasma la Chiesa: il battesimo e l’eucaristia. La Pentecoste realizza l’evento della croce, ma lo realizza con il dono dello Spirito. Lo Spirito è l’amore del Padre verso il Figlio e del Figlio verso il Padre. Ecco perché il dono dell’amore è il punto centrale al quale facciamo risalire la concretizzazione della nascita della Chiesa. Il Papa, nel suo ultimo documento, dice che “in fondo la santità consiste nell’amare”. Perché nasce la Chiesa? Perché la Chiesa è un popolo costituito da legami, e questi costituiscono la particolare modalità del popolo che è quello dell’amore. Non siamo Chiesa se non ci amiamo. “Da questo sapranno che siete miei amici, se avrete amore gli uni per gli altri”. Papa Francesco diceva al giubileo dei ragazzi: “Ragazzi il vostro amore gli uni per gli altri è il vostro documento di identità. Da questo si capisce chi siete”. E come documento di identità, non possiamo esserne sprovvisti. Carissimi fratelli e sorelle, in definitiva l’essere Chiesa vuol dire vivere legami d’amore. Ora in questo dobbiamo fare attenzione perché vivere legami d’amore non è per niente facile. Questo amore non è una sdolcinatezza emozionale e non è nemmeno una astrazione razionale. È qualcosa di reale e di profondo e viene travasato nel nostro cuore da Dio stesso per mezzo del dono dello Spirito. Tutto questo si traduce in gesti che sgorgano da un amore del cuore. Se considerassimo l’amore come una questione sentimentale non riusciremmo a cogliere la profondità dell’amore di Cristo che è molto più grande e molto meno superficiale. Rimarremmo in un piano istintivo che non è quello inteso da Cristo. D’altra parte un amore visto in una chiave troppo razionale non ci aiuterà a viverlo nella sua concretezza. Il Papa parla della deriva dello gnosticismo e di “non arrivare a toccare la carne dei fratelli in una astrazione”. Come è difficile amare anche perché siamo tutti diversi, e ciascuno di noi ha un modo differente di amare: ognuno ha una storia e un vissuto differente e tutti i nostri vissuti sono segnati nell’affettività; non saranno psichiatrici o patologici, ma tutti abbiamo dei problemi affettivi perché l’affettività è al cuore intimo di ogni persona, ed è la cosa più grande, più delicata e più ferita. Questa missione dell’amore si incarna in noi non, come ci piacerebbe, in una serie di azioni da fare e che, a volte, sintetizziamo con questa pessima espressione: “fare la carità”, come se questa fosse qualcosa da fare tipo l’elemosina. L’amore si concretizza in un percorso interiore vissuto da ciascuno di noi, e, questo percorso interiore, ha una crescita nel corso della nostra vita e avviene per mezzo della comunità, perché è nella comunità che ci sono le persone da amare; e tra le comunità la prima è quella familiare, e questa è la prima della vicinanza e solitamente l’ultima nel raggiungimento. I nostri problemi affettivi, infatti, nascono dalla fatica del vivere nei primi tempi della nostra esistenza, quelli non razionali; è chiaro che in famiglia questi problemi verranno guariti più tardi perché ci sono delle cicatrici, dei pregressi che fanno faticare di più rispetto ad una partenza ex novo. Abbiamo un percorso nel quale siamo chiamati ad amare il fratello: ecco perché è importante la comunità, perché lo scambio fraterno ci aiuta a mettere a fuoco che cosa voglia dire amare. Abbiamo bisogno di docenti dell’amore, abbiamo bisogno di docenti per tutte le cose, figuriamo per l‘amore che è la materia più difficile: non riusciamo nemmeno a definirlo. I docenti nell’amore non sono persone diplomate, ma sono i fratelli e le sorelle che con la loro iniziativa ci accompagnano ed è attraverso di loro che lo Spirito di Dio agisce. Il Papa giustamente sottolinea come tutto questo non sia attraverso persone perfette; noi, infatti, amiamo sempre in modo imperfetto, mettendo insieme cose giuste e meno giuste, ma è il Signore che agisce dentro persone anche fragili e deboli segnandole con la sua grazia; e questa grazia che segna i nostri fratelli e le nostre sorelle tocca i nostri cuori e ci raggiunge. Il segreto della Chiesa è volersi bene. Come è difficile, ma nello stesso tempo com’è bello. Che grande traguardo! Non siamo ingenui da pensare: “Adesso, finita questa celebrazione amiamo tutti”; ma finita la celebrazione rinnoviamo semplicemente il nostro desiderio di amare sul serio riuscendo a farlo in modo più consapevole, conscio, profondo, determinato; sapendo che dovremo continuare il nostro cammino interiore. Il segreto della Chiesa, alla fine, è questo e tutto quello che faremo o scaturirà da questi legami d’amore che costituiscono la Chiesa oppure scaturirà da qualcosa d’altro e non saremo convincenti. Non viviamo di soli programmi, anche perché bisogna essere intelligenti, non stupidi; ma ricordiamoci che la grande forza che muove tutto e che genera la Chiesa è l’amore, è l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo del dono dello Spirito. Questo panorama è di grande consolazione e pace. Vogliamo vivere questa pace ringraziandone il Signore e, continuando la celebrazione, offriamo al Signore ciò che abbiamo vissuto in questa giornata con il nostro atto sacerdotale in virtù del nostro sacerdozio battesimale, e vogliamo chiedere al Signore la grazia di farci crescere nell’essere Chiesa, nel volerci bene concretamente, in virtù dello Spirito che ama in noi e che ci è stato donato. La Madonna della Salve, nostra dolcissima patrona, ci accompagni in questo cammino: lei che ha amato con forza e in modo molto concreto e vero, per nulla sdolcinato ai piedi della croce, interceda per noi perché impariamo questo amore e lo sappiamo vivere nelle nostre relazioni senza stancarci di ripartire ogni qual volta manchiamo, e senza mai smettere di perdonare i nostri fratelli quando anch’essi falliscono.
Sia lodato Gesù Cristo.