Oscar Arnulfo Romero, l’arcivescovo martire del Salvador, è stato proclamato santo in piazza San Pietro assieme a Paolo VI, il Papa che lo aveva nominato al vertice della chiesa salvadoregna, indicandogli la strada del martirio. Di impostazione conservatrice e vicino all’Opus Dei, monsignor Romero era stato scioccato dall’uccisione – nel 1978 – di padre Rutilio Grande, gesuita, e di due catechisti. Padre Rutilio era il suo migliore amico: lo aveva accompagnato dal seminario alla cattedra di primate. Davanti ai massacri che si ripetevano chiese allora un’indagine seria. Per tutta risposta i giornali di regime pubblicarono l’immagine di Giovanni Paolo II e un suo ammonimento tra virgolette: “Guai ai sacerdoti che fanno politica nella chiesa perché la Chiesa è di tutti”. Lui reagì con un’omelia rimasta celebre: “Vorrei discutere con voi – furono le sue parole – quale significato dare al Vangelo di oggi. Nozze di Cana, moltiplicazione dei pani simbolo d’una difficoltà che Cristo può sciogliere e la può sciogliere con l’aiuto degli uomini. È un pane spirituale, ma anche un pane vero che può sfamare tutti. Basta volerlo. E perché possiate avere il vostro pane è necessaria una trasformazione politica. Non sarà la Chiesa a governare la trasformazione, ma la Chiesa ha il dovere di segnalare l’ingiustizia”. “Vescovo fatto popolo” – come è stato chiamato – ha così messo in gioco tutta la vita per la sua gente. Pochi giorni prima di morire aveva detto: “Se Dio accetta il sacrificio della mia vita il mio sangue sia seme di libertà e segno che la speranza sarà presto realtà”.
Perché la Chiesa Cattolica ha avuto tanta difficoltà a riconoscere come un esempio credibile il vescovo ucciso il 24 marzo 1980 mentre celebrava una messa nell’ospedale dove aveva scelto di vivere anche dopo l’importante incarico ricevuto da Montini? Per le stesse ragioni per le quali oggi alcuni cardinali e vescovi fanno il “muro di gomma” alle riforme di Francesco, se non apertamente le ostacolano. Pochi mesi prima di cadere per mano degli ‘squadroni della morte’, Romero aveva detto che “il Concilio Vaticano II chiede a tutti i cristiani di essere martiri, cioè di dare la vita: ad alcuni chiede questo fino al sangue, ma a tutti chiede di dare la vita”. E lui, malgrado gli avvertimenti, non smise mai di accusare i militari, i paramilitari e gli squadroni della morte per le uccisioni degli oppositori politici, come ha ricordato Papa Francesco in un’udienza generale. Martire, cioè testimone dell’Amore di Dio. Monsignor Romero fu ucciso in odio alla fede… Papa Francesco domenica scorsa ha affermato: «monsignor Romero, ha lasciato le sicurezze del mondo, persino la propria incolumità, per dare la vita secondo il Vangelo, vicino ai poveri e alla sua gente, col cuore calamitato da Gesù e dai fratelli. (…) Tutti i santi, in diversi contesti, hanno tradotto con la vita la Parola di oggi, senza tiepidezza, senza calcoli, con l’ardore di rischiare e di lasciare. Fratelli e sorelle, il Signore ci aiuti a imitare i loro esempi”».
Don Valerio Bersano – direttore del centro missionario diocesano